Vivere è una gioia, certo. Ma è anche una scazzottata continua con l’universo. Una lotta corpo a corpo con la vita che, spesso, non gioca pulito. Ti colpisce quando sei distratto, ti sgambetta mentre sorseggi il caffè, e ogni tanto ti sussurra all’orecchio: «Ehi, sei sicuro di farcela?»
Il tuo dovere? Esserci. Vivere. Fino all’ultimo round. Combattere. Anche quando ti senti uno straccio usato. Anche quando sei depresso, sfiduciato, avvilito, con la voglia di sprofondare nel divano dietro un muro di Netflix e patatine.
Pensa se tutti si arrendessero di fronte alle difficoltà. Avremmo una società? No. Avremmo un’orda di adulti rannicchiati in posizione fetale…
Un incubo distopico.
Le difficoltà? Sono una schifezza. I problemi? Degli infami. Ma sono anche la palestra della tua crescita. Lo so, suona come una frase motivazionale di uno di quei life coach che parla e sorride, e sorride perché ha appena incassato una fortuna per mostrarti i suoi denti bianchissimi mentre ti dice di “visualizzare il successo”.
Ma è vero. Le difficoltà ti spingono a capire gli altri, a capire la vita, a capire te stesso. E quando arrivi a un certo livello di illuminazione, magari smetti persino di insultare la gente nel traffico (forse). Oppure, te ne vai a vivere altrove.
E non dirmi «Eh, ma tu che ne sai?».
Ti vedo, con quel sopracciglio alzato da “facile parlare, eh?”.
Ho 52 anni. Sono padre da quando ne avevo 19. Ma sono anche un figlio. Un marito. Un imprenditore. Un uomo che combatte su mille fronti, a volte con un coltello da burro contro un esercito di carri armati. E no, non vivo ogni giorno come un manifesto della felicità. Alcuni giorni sono una sitcom, altri un thriller psicologico, e ogni tanto uno di quei film indipendenti in cui il protagonista guarda fuori dalla finestra per due ore chiedendosi il senso della vita.
Eppure eccomi qui. A soffrire, a incasinarmi, a rialzarmi. E a dirti quello che dico a me stesso.
A volte mi ritrovo alle 3 di notte a scrivere articoli, poi mi accorgo di un insetto sulla scrivania, lo prendo con un tovagliolo e lo accompagno alla porta, senza fargli del male. No, non sono diventato un monaco buddista. È solo che a un certo punto nella vita di un uomo succede anche questo. Qualche anno fa l’avrei spiaccicato senza pensarci due volte. Oggi, invece, mi viene da pensare che anche lui abbia i suoi problemi da risolvere… solo che preferisco che lo faccia lontano dalla mia scrivania.
Si cambia. Punto.
Quello che eri a 20 anni non è più valido a 30. E quello che credevi sacro a 40, a 50 lo rivedi, pensando: “Ma davvero ero così scemo?”.
Si cambia. E il cambiamento è un’opportunità, perché si cresce. Ma si cresce solo se non scappi. Solo se affronti il dolore, il disagio, il fallimento.
Devi affrontare il mondo per affrontare te stesso. Devi ridere, piangere, incazzarti, sperare. Devi attraversare l’inferno. Che non è facile. E infatti io qui non sto dicendo che sia una passeggiata. Sto dicendo che DEVI farlo, dobbiamo farlo, anche se fa male.
E quando pensi di non farcela, respira.
Prenditi un momento per recuperare la dignità.
Poi affronta i tuoi demoni.
Trova te stesso. Supera le sfide.
Ma, per l’amor di Dio, non mollare mai.
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