Trovare clienti altospendenti con un gruppo Facebook

Il processo di online marketing più semplice per vendere consulenze e infoprodotti high ticket con i gruppi Facebook (senza lead generation)

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Introduzione alla prima parte

Se le tue conversioni non sono come speravi, è più probabile che il pubblico non abbia letto o ascoltato i tuoi messaggi. Non ci sono criticità rilevanti nella fase avanzata del funnel. La vera criticità è nell’ingaggio dell’attenzione.

Ciò che segue non è un manuale di procedure collaudate sui sistemi di acquisizione del cliente. Non è neanche il solito schema più o meno arricchito con cui tutti lanciano prodotti e servizi sui mercati del web. È piuttosto la condivisione di un’esperienza attraverso la quale mi ritrovo, oggi, a valutare un fenomeno interessante: l’acquisizione dei clienti con Facebook e su Facebook ma senza lead generation.

Fissiamo bene queste parole, perché hanno il sapore di una scoperta incredibile: esiste un modo per acquisire clienti online senza ricorrere alla lead generation, ovvero, senza passare per quella stucchevole procedura, oramai invisa ai navigatori, con cui si offre un prodotto mediocre in cambio di un indirizzo email che confluisce in una lista gestita da un autoresponder in cui sono predisposti dozzine di messaggi assetati di sangue che colpiscono la pazienza dei lettori fino a provocarne il distacco, la disaffezione, l’insofferenza.

Mi soffermerò di più su quest’analisi. Prima però vediamo che cos’è la lead generation per quelli meno esperti. 

Cos’è la Lead Generation

È un processo di marketing che consente di generare una lista di possibili clienti interessati ai prodotti o servizi offerti da un’azienda o da un consulente. Sul web funziona con apposite pagine “spreminomi” (squeeze page) dove normalmente viene rilasciata una risorsa (un eBook, un video corso, un campione omaggio di un prodotto etc.) in cambio dell’indirizzo email del navigatore interessato.

È un sistema che funziona bene e che ha fatto la storia del direct response marketing online. E difatti questo mio piccolo contributo non vuole metterne in discussione l’efficacia e l’utilità che esso ancora esplica nei funnel e nelle strategie vincenti di molti marketer online, seppure cominci a risentire del peso dell’usura dovuta agli abusi perpetrati impietosamente da chiunque si avvalga dell’email marketing ad alta tensione come strategia di conversione.

Ecco, spendiamo due parole sull’argomento. 

Le metriche di monitoraggio

Uno dei principali problemi di chi come te (e come me) deve comunicare con il suo pubblico e ricavarne dei dati significativi, sono le metriche di monitoraggio: le aperture, le visualizzazioni, i clic. 

Costruiamo le nostre strategie sulla base di questi numeri. Siamo convinti che di fronte a un tasso di apertura del 50%, per esempio, la metà del pubblico a cui abbiamo inviato una mail abbia letto e compreso il nostro messaggio. Ma questo non è vero. Le aperture non ci dicono più nulla. Stessa identica sorte per le visualizzazioni e per i clic.

Le metriche tradizionali sono fuorvianti e completamente inutili, perché ci fanno credere che ci sia stato un risultato comunicativo, mentre quel risultato non si è mai verificato.

Questo punto di osservazione è molto importante, perché se tu pensi di avere raggiunto il 50% del tuo pubblico con il tuo messaggio, ma non hai conversioni, sei portato naturalmente a rivedere e a modificare la tua offerta, le tue pagine di vendita, i tuoi prezzi. Pensi che se le persone non hanno comprato, dopo aver letto, visto e seguito il tuo funnel, è perché ci sia un problema nella fase della vendita. È ovvio. Se ti affidi alle metriche, è inevitabile giungere a queste conclusioni.

E se non fosse così? Se scoprissi che il 50% delle aperture in realtà non corrisponde al 50% effettivo delle persone che hanno veramente letto o ascoltato i tuoi messaggi? Che cosa faresti se ti accorgessi che il tuo messaggio non ha raggiunto le persone del tuo pubblico?

Con ogni probabilità non andresti a modificare il processo nella fase della vendita. Perché non è lì che si sta verificando il problema. Ti concentreresti di più probabilmente sulla fase iniziale, quella in cui serve stabilire un contatto. Quella in cui serve fare breccia nella barriera dell’indifferenza.

Se le tue conversioni non sono come speravi, è più probabile che il pubblico non abbia letto o ascoltato i tuoi messaggi. Non ci sono criticità rilevanti nella fase avanzata del funnel, benché si possa sempre migliorarla e renderla più performante. La vera criticità è nell’ingaggio dell’attenzione.

Se nessuno, per i motivi più svariati, ascolta i tuoi messaggi, significa che il tuo processo educativo sta girando a vuoto. E se il tuo processo educativo non arriva, non puoi vendere. Non succederà mai.

Appiattimento e insofferenza

Il bene più prezioso per un consulente che voglia acquisire clienti online è l’attenzione del pubblico. E lo è ancora di più in questa fase storica in cui il modo aggressivo di fare le cose della gran parte dei player di mercato ha letteralmente bruciato la fiducia dei navigatori. La capacità attentiva delle persone si è ridotta ai minimi storici. 

Oramai, è uno stillicidio. Se apri Facebook e scorri la pagina, non puoi fare a meno di imbatterti in quella snervante caterva di annunci e proclami sensazionalistici di venditori di corsi, esperti di finanza e di crescita, guru della motivazione, del self publishing, del cibo, della mente, della ricchezza e così via.

Dicono tutti la stessa cosa. Parlano il medesimo linguaggio: identici nel tono, nell’approccio, nella costruzione del messaggio. Usano l’inglese, lo piazzano dappertutto, e si impegnano a essere bravi nella pronuncia. Ci tengono molto a questa cosa. Fa tanto ragazzo di mondo che ha studiato qualcosa dagli americani. Poi, magari, non sanno ancora né scrivere né parlare bene l’italiano. Ma sull’inglese, cazzo, sono impeccabili come John Peter Sloan di Zelig. 

Oh yeah!

E poi hanno in comune un’altra cosa: sono tutti depositari di un segreto. Ma non un segreto qualsiasi, intendiamoci; parliamo di qualcosa di eclatante, un sapere importante che sembra provenire direttamente dagli antichi papiri delle grotte essene di Qumran: una soluzione prodigiosa ai mali del mondo, un’alchimia indicibile, una formula misteriosa, esoterica persino. 

Però, c’è di buono che per conoscere il segreto non devi superare le prove tribali di iniziazione. Non dovrai scalare montagne o affrontare la tigre con i denti a sciabola o sfidare la Paraponera clavata, detta anche formica proiettile, poiché il dolore provocato dal suo morso è tanto intenso da poter essere paragonato a un colpo di pistola. Basta tirare fuori la carta di credito, e ti sarà tutto immediatamente svelato… quasi come un pettegolezzo, un inciucio spifferato sotto voce nei bagni profumati delle signore.

E infine tutti, ma proprio tutti, esordiscono allo stesso modo con una dichiarazione di posizionamento che punta a fare chiarezza nella mente confusa dei poveri ascoltatori. E la dichiarazione è più o meno la seguente: 

Chiunque mi abbia preceduto vi ha detto una marea di sciocchezze. E anche quelli che verranno dopo nel mio nome diranno sciocchezze. E vi trarranno in inganno. Ma sappiate che sono falsi profeti, perché io sono l’unico e il solo, la via e la salvezza. Colui che vi condurrà nei giardini del padre.

Sono tutti unici, e ciascuno si proclama migliore degli altri. Ma se tutti sono unici, che significa veramente unico?

Senza lead generation

Come puoi intuire, lo scenario in cui siamo costretti a muoverci per trovare nuovi clienti non è molto edificante. La lead generation ha vissuto tempi migliori. Qualche anno fa era uno strumento formidabile nelle mani di un professionista. Potevi catturare l’attenzione del navigatore estraneo con un contenuto di valore che seppure offerto gratuitamente non veniva ancora percepito come semplice pastura per i pesci. E riusciva nel suo intento di accompagnare l’utente lungo un processo educativo che lo trasformava gradualmente fino a renderlo in cliente pagante.

Una mailing list di contatti in target aveva un altissimo valore proprio per la sua intrinseca capacità di trasformare i contatti interessati in soldi sonanti. Si diceva infatti: l’oro è nella lista. Non dico che oggi non sia più vero, ma qualcosa è cambiato in modo significativo e irreversibile.

L’esperienza è qualcosa che ci spinge a riflettere e a confrontarci con la continua evoluzione degli strumenti e dei mercati. Facebook, per esempio, piaccia oppure no, è la più grande piattaforma sociale. In Italia, ci sono oltre 30 milioni di account. Un italiano su due possiede un profilo, e lo usa per interagire, condividere, opinare, diffondere etc.

E quando attraverso Facebook, senza ricorrere alla lead generation, riesci a ingaggiare le persone, a ottenere la loro fiducia e a convertirle poi in contatti qualificati o in clienti, al pari di una più classica azione di email marketing, diventa quantomeno necessario sforzarsi di comprenderne le dinamiche (trasformative) in relazione alle più complesse strategie di marketing in uso presso aziende, marketer e imprenditori del web.

Per dirla in modo più semplice, se esiste uno schema funzionale per acquisire clienti senza uscire dall’ambiente Facebook (che sembra essere l’esperienza più amata dai navigatori), vale la pena di conoscerlo e di provarlo non solo per affiancarlo ai funnel già in uso, e rafforzarli di conseguenza, ma in taluni casi persino per rimpiazzarlo alle vecchie procedure, come è successo nel mio caso con Phoenix Academy e con i miei studenti che l’hanno applicato per emulazione.

Ho fatto delle cose che hanno funzionato. Non ho seguito i soliti schemi. Queste cose mi hanno permesso di vendere consulenze e infoprodotti high ticket attraverso un gruppo Facebook, senza lead generation. Cioè, senza inviare neanche una sola email.

So che molti anelano a un modello di questo tipo, qualcosa che sappia dare i frutti necessari, ma che riesca nel contempo a liberare l’operatore dall’obbligo di vestire i panni del consulente d’assalto che insidia le sue vittime con l’arma automatica dell’autoresponder che spara email come un mitragliatore da guerra. 

I guru dell’email marketing ti diranno che è un male necessario. Ma siamo veramente sicuri? E poi, detto tra noi, a chi non piacerebbe acquisire clienti in modo scientifico senza diventare un disturbatore seriale odiato dal pubblico?

La storia che ti racconto in questo pamphlet è la dimostrazione pratica di come sia possibile riuscire nell’intento di vendere senza disturbare. Ne è venuta fuori una bella esperienza. Spero ti piaccia. E solo in tal caso, spero anche di ricevere su Amazon una tua bella recensione.

Cominciamo dal punto zero.

* * *

PS. Verso la fine di questo libro ti darò una risorsa preziosa per il tuo marketing. Un video corso di circa 3 ore a cui potrai accedere gratuitamente.

Cap. 1

Il punto zero

Prendere per mano l’utente e accompagnarlo gradualmente nei vari livelli di trasformazione: da navigatore estraneo a lettore interessato; da lettore interessato a contatto qualificato; da contatto qualificato a cliente.

Ciò di cui parleremo adesso ha a che fare con la mia esperienza rispetto a un tipo di funnel in ambiente Facebook che parte dalla pagina, passa per un gruppo e chiude il suo ciclo nelle dirette o nei webinar. Potremmo sintetizzare la cosa con uno schema del genere:

1. Scoperta Pagina Facebook

2. Interazione Gruppo Facebook

3. Conversione Teleconferenza

Prima, però, cerchiamo di capire meglio come funziona il marketing per le piccole aziende e per i consulenti. E nel fare questo dobbiamo per onestà partire da un punto preciso: il punto zero.

Il punto zero è quello nel quale non esiste ancora un rapporto tra l’utente e l’azienda. È importante focalizzare questo momento, perché se è vero che il marketing moderno è prima di tutto “conversazione”, è altrettanto vero che ogni conversazione deve assumere “toni e contenuti” adeguati al suo livello di rapporto.

Una conversazione tra due estranei sarà profondamente diversa da una conversazione tra due vecchi amici. Se riusciamo a comprendere questo, riusciamo a comprendere anche la delicatezza del punto zero, dove ogni utente altro non è che un navigatore estraneo con le sue idee, con il suo punto di vista, con il suo carico di convinzioni e certezze, al quale dobbiamo rapportarci con preparata «cognizione di lontananza». Dobbiamo cioè tenere conto del fatto che chi non ci conosce (e di conseguenza non conosce neanche i nostri prodotti o servizi) non è mentalmente pronto a ricevere le nostre offerte. Non sa chi siamo e neanche gli interessa.

Su Facebook questa circostanza è particolarmente vera perché gli utenti non usano la piattaforma per acquistare prodotti o servizi. Non sono alla ricerca di una dieta più efficace o di un corso di lingua inglese. Sono su Facebook perché vogliono interagire o curiosare con amici e conoscenti.

A differenza di chi cerca informazioni su Google, che vuole sapere qualcosa di ciò che sta cercando esattamente adesso, l’utente di Facebook segue prevalentemente quello che fanno gli altri come uno spettatore o un opinionista di persone, pagine, gruppi, eventi etc. I navigatori di Google ci dicono quello che vogliono. I navigatori di Facebook, ciò che sono.

Non è poco sapere “chi sono”. Possiamo certamente calibrare meglio i nostri messaggi in base a questa informazione. Ma non cambia il fatto che pur sapendo chi sono, nel punto zero ancora non sappiamo cosa vogliono.

Sembra un ragionamento banale. E a dire il vero, dovrebbe esserlo, perché questi sono i fondamentali del marketing moderno. Ma purtroppo non è affatto un ragionamento banale, visti i continui e ripetuti tentativi di vendere qualcosa o di chiedere qualcosa da parte di aziende, marketer e consulenti sconosciuti al pubblico al quale si rivolgono.

La richiesta di qualcosa, anche quando non si tratta di vendere, è sullo stesso piano di un’offerta di prodotto. Siamo sempre nell’ambito di un rapporto che ancora non esiste. Siamo sempre nel punto zero, dove la lontananza riduce le probabilità di successo di una qualsiasi call to action (CTA).

Chiedere il like a una pagina, per esempio, o la condivisione di un video, o la partecipazione a un gruppo o a una diretta, sono CTA processate velocemente dal punto di vista di chi non ti conosce, un punto di vista influenzato prima ancora che dalla mancanza di fiducia, dall’indifferenza e dal disinteresse.

A questo poi dobbiamo aggiungere un particolare clima di diffidenza generale che avvolge il marketing online, specie su Facebook, alimentato da due tipi di fenomeni che sono un po’ come due facce di una stessa medaglia:

1. I ciarlatani

2. Gli odiatori

I primi, i ciarlatani, fanno parte del gioco da sempre. Da quando esiste un mercato con uno scambio di lavoro o di merce ci sono quelli più bravi e quelli meno bravi, ci sono quelli più onesti e quelli meno onesti. E di certo il web ha semplificato loro la vita, perché è più facile nel mondo virtuale sovrastimare una propria offerta, sia in buona fede, pensando cioè di dare realmente qualcosa di valore, anche se quel valore non è reale, sia in cattiva fede, ossia, facendo leva sulla schermatura del web e sulla possibilità di rifilare per buono qualcosa che nei fatti è solo mediocre.

I secondi sono gli odiatori, i cosiddetti haters, gente che odia altra gente, persone che disprezzano, diffamano o criticano distruttivamente una persona, un lavoro o un concetto in particolare. Il web ne è pieno. Ce ne sono per tutti i gusti e per tutte le età. Figuriamoci nel campo dell’online marketing, dove l’invidia degli odiatori viene stimolata costantemente, talvolta anche provocatoriamente, da messaggi autoreferenziali di guru, coach e imprenditori spocchiosi che inneggiano alla competizione, al successo e all’arricchimento facile.

Tra queste due categorie, i ciarlatani e gli odiatori, trovano posto a vario titolo tutti quelli che seguono le masse e prendono una posizione senza neanche aver letto, provato o compreso ciò di cui si sta parlando. Molto spesso mi è capitato di leggere commenti del tipo “non ho comprato questo prodotto, perché da quello che ho sentito dire in giro deve essere molto scadente”.

Vox populi, vox Dei? Fino a un certo punto, forse, perché se poi manca quella elementare capacità di mettere in relazione funzionale fatti, esperienze personali, informazioni e influencer, non siamo più di fronte a una verità divina, ma molto più semplicemente siamo vittime di una superficialità infernale che ispira le nostre scelte ed è causa quasi sempre dei nostri fallimenti esistenziali. E il web è indiscutibilmente il tempio della superficialità per antonomasia.

Qualche anno fa, Umberto Eco spiegava dal suo punto di vista quale poteva essere l’effetto del web sulla mente delle persone, comparando il fenomeno a quello della televisione. Quando nelle case degli italiani arrivò la televisione, gli analfabeti ne ebbero un vantaggio. I poveri (culturalmente) si arricchirono: impararono l’italiano, per esempio. I ricchi (culturalmente) si impoverirono, perché lo standard proposto era oggettivamente inferiore al livello culturale cui gli intellettuali del tempo erano abituati (teatro, lettura, opera etc.).

Con il web, secondo Eco, si è avuto l’effetto contrario: i poveri (culturalmente), non avendo la capacità di comprendere, valutare, filtrare e usare le informazioni a disposizione, e rischiando quindi di seguire credenze e luoghi comuni che prolificano in rete, si impoveriscono ancora di più. E i ricchi, per l’esatto contrario, si arricchiscono ancora di più. Come dargli torto?

Ma torniamo al nostro ragionamento sul punto zero. Come ci si comporta strategicamente in questa fase? Ci si comporta come in tutte le altri fasi del processo: un passo alla volta, un dannato, singolo passo alla volta.

Ne I piccoli saranno i primi, Seth Godin parlava della necessità di trasformare i navigatori estranei in amici e gli amici in clienti, suggerendo di conseguenza un’impostazione lineare del sito web, diversa da quella piramidale che ancora oggi predomina in modo sconsiderato il design e la progettazione di molti sviluppatori. Cioè, se il navigatore non ti conosce, non deve ricevere un’offerta di acquisto, perché se ciò accade con ogni probabilità non la prenderà neanche in considerazione.

Ciò che ha senso, invece, secondo Godin, è prendere per mano l’utente e accompagnarlo gradualmente nei vari livelli di trasformazione: da navigatore estraneo a lettore interessato; da lettore interessato a contatto qualificato; da contatto qualificato a cliente. Lineare, appunto, come un sentiero di montagna che un passo alla volta conduce alla cima.

E per questo sono stati affinati e messi all’opera strumenti formidabili di inbound marketing, come le squeeze page, le thankyou page e le sales page che normalmente entrano in scena con una sequenza di messaggi calibrati, nel contenuto, sulla distanza mentale dell’utente rispetto all’offerta. Cioè, se il messaggio del primo giorno accoglie il nuovo arrivato con una risorsa omaggio, senza aggiungere altro, quello del secondo giorno introduce alcune informazioni sul prodotto e sull’azienda (o autore), spingendosi un pochino di più sulla timeline delle micro-conversioni; quello del terzo racconta uno o due casi di studio; e così via, fino ad arrivare alla proposta commerciale che in teoria dovrebbe incrociare l’utente nel momento preciso in cui quest’ultimo possiede più informazioni, più fiducia, più desiderio del prodotto etc. Cioè, nel momento in cui è emotivamente più vicino e predisposto all’acquisto del prodotto o della consulenza.

Ora, però, dobbiamo ritornare sul tema principale di questi miei appunti: l’acquisizione dei clienti in ambiente Facebook senza lead generation. Ne parliamo nel prossimo capitolo.

Cap. 2

La linearità in ambiente Facebook

Se vuoi fare un buon vino devi usare una buona uva. E più l’uva è selezionata e di prima scelta, più buono sarà il vino. Allo stesso modo, se vuoi un pubblico che risponde al profilo ideale del tuo cliente tipo per massimizzare le conversioni, devi selezionare, filtrare, scartare. Ma anche aggiungere nuovi setacci lungo il percorso per continuare a vagliare, secernere, distillare. 

Dopo aver ragionato a lungo sul punto zero come momento nel quale l’utente è alla massima distanza mentale possibile rispetto alla nostra offerta, possiamo comprendere meglio il senso e la portata di alcune azioni che io stesso ho sperimentato con risultati molto interessanti.

Riprendiamo lo schema iniziale del capitolo precedente per averlo sottomano. E analizziamo punto per punto il mio primo esperimento.

1. Scoperta Pagina Facebook

2. Interazione Gruppo Facebook

3. Conversione Teleconferenza

A gennaio del 2018, dopo quasi un mese di chiusura totale del mio programma Phoenix (solo gli studenti potevano accedere), decisi di creare un gruppo Facebook che ho poi chiamato Phoenix Academy Preview, con lo scopo di formare una community di persone interessate al mio programma di aiuto per quarantenni in crisi basato sullo sviluppo assistito di prodotti informativi di alto valore percepito (eBook, video corsi, membership etc.) e sulla loro vendita sui mercati alto spendenti. Ci sono due antefatti importanti:

1. Il passaggio alla nuova piattaforma

2. La conseguente sospensione delle iscrizioni

Il passaggio era necessario. Phoenix, come programma di information business per quarantenni desiderosi di cambiare il proprio sistema di vita e di lavoro, era cresciuto molto sia in termini di contenuti, sia in termini di studenti attivi. E come per ogni progetto che ha la fortuna di crescere, anche per Phoenix era arrivato il momento di fare un salto in avanti.

Dopo varie riunioni con il mio staff, ma anche a seguito di un’esperienza diretta sul campo con tutti gli studenti che hanno transitato per il mio Skype, ho deciso di investire nuovamente i miei guadagni e di trasformare Phoenix da semplice video corso multimediale completo a vera e propria piattaforma di formazione e sviluppo anche tecnico dei progetti web e digital dei nostri iscritti.

In parole semplici, mentre prima lo studente seguiva le video lezioni e si formava sugli argomenti del programma, punto e basta, oggi:

• si forma sugli argomenti del programma e su tutta una serie di tematiche nuove e complementari introdotte nel corso (es. Video School)

• ottiene gli strumenti web per fare le cose. Non deve comprare nulla. Ha tutto nella sua area (temi, layout, plugin, jingle, intro, etc.)

• accede a un tutor e a uno staff suo personale che lo assiste giorno dopo giorno nelle questioni tecniche e procedurali

• può rivendere Phoenix con un piano affiliativo molto ben remunerato

• e può offrire a pagamento servizi e consulenze all’interno della scuola grazie alla nostra bacheca Jobs ed Experts.

Insomma, un vero salto di qualità per differenziare la nostra offerta e rendere Phoenix un’esperienza unica e inimitabile.

Gli altri ti dicono cosa fare. Noi te lo diciamo, te lo facciamo vedere, e insieme a te lo facciamo. 

Questo fa veramente la differenza. Ma per implementare la nuova piattaforma ci serviva del tempo, oltre che un alleggerimento del carico corrente di lavoro.

E qui arriviamo al secondo antefatto: la sospensione delle iscrizioni.

Abbiamo dovuto fermare i funnel, le campagne, la lead generation: non potevamo occuparci dei nuovi arrivati in tutte le fasi del processo trasformativo. Non ne avevamo il tempo. Abbiamo dovuto mettere il vecchio sito in manutenzione per impedire l’accesso a nuovi potenziali studenti, e concentrarci sullo sviluppo e sul collaudo della nuova piattaforma.

Appena pronti, abbiamo migrato alcuni studenti sull’academy per fare il beta test. E via via che l’impianto ci è sembrato tutto sommato funzionante, abbiamo spostato il resto degli studenti attivi sulla nuova piattaforma. A quel punto potevamo fare il lancio del nuovo Phoenix. Serviva una data. Scegliemmo il 15 di febbraio 2018.

Ora, possiamo ritornare agli inizi di gennaio, quando decisi di creare il gruppo Facebook Phoenix Academy Preview.

Non avevo idea di come sarebbe andata. Sapevo tutto sulla lead generation e sulle campagne Facebook orientate alla mia optin page. Ma non avevo alcuna informazione su quello che stavo per fare.

Un tempo spendevo 1 euro per ogni lead. Con 100 euro acquisivo 100 lead. E su 100 lead, almeno 3 diventavano miei studenti (che all’epoca erano l’equivalente di 1.800 euro di guadagno). E siccome ogni mese spendevo circa 300 euro di Facebook ADS, acquisivo mediamente 300 contatti, 9/10 studenti e circa 6.000 mila euro di nuovi incassi. Alcuni mesi di più, alcuni mesi di meno, ma questi erano i miei dati certi e sicuri.

Forza e coraggio. Bisognava cominciare da qualche parte. Una prima idea interessante fu quella di prevedere delle domande per tutti coloro che richiedevano l’iscrizione al mio gruppo di lancio. Facebook infatti ti permette di impostare 3 domande per i membri in attesa di approvazione nel gruppo.

Da queste domande potevo ricavare ogni giorno un argomento utile da sviscerare con un video che caricavo nel gruppo per dare agli utenti del punto  zero quelle prime informazioni che riducono la distanza mentale rispetto all’offerta.

Se una persona non ti conosce, ma in qualche modo vuole saperne di più su di te e su quello che fai – e per questo chiede di entrare nel gruppo, le domande permettono di intavolare una conversazione sin da subito. Il marketing è conversazione. Ricordiamolo.

I primi iscritti sono arrivati facilmente. È stato sufficiente, infatti, dare notizia sulla mia pagina Facebook del nuovo gruppo perché alcuni follower inoltrassero subito la loro richiesta insieme alle domande di attesa.

Le domande degli utenti sono una risorsa preziosa, perché attraverso di esse ti accorgi che dal loro punto di vista le cose non sono così chiare e lineari come lo sono per te. E questo è un bene, specie quando diventi vittima della maledizione della conoscenza e non sai più da quale prospettiva affrontare un argomento, perché ciascuna ti sembra superata o addirittura fin troppo appiattita, salvo poi scoprire che decine di migliaia di persone lì fuori sono ancora al primo stadio del processo formativo nel campo di tua competenza, e tutto quello che hai da dire al riguardo, per loro, è semplicemente fantastico.

La maledizione della conoscenza

Spendiamo due parole sulla Maledizione della Conoscenza. Secondo i fratelli Chip e Dan Heath, nel loro splendido libro Idee forti (edizioni ETAS), si tratterebbe di una tendenza psicologica naturale che, senza farsene accorgere, svia la nostra capacità di elaborare idee brillanti, riducendo il nostro senso di efficacia rispetto a quello che potremmo creare, fare, proporre, insegnare, consigliare etc.

Facciamo un esempio per capirci. Un commercialista di esperienza ha effettuato numerose operazioni complesse (consulenza, contenzioso, bilanci etc.). Dopo 20 anni di tale lavoro ha un’esperienza che gli fa sembrare semplici problemi difficili, spingendolo nelle braccia della Maledizione della Conoscenza. Egli cioè sottovaluta o semplifica il suo apporto in modo naturale: non riesce a immaginare un argomento che possa trattare utilmente al cospetto di un gruppo di persone che lo segue.

Intendiamoci: non sto dicendo che un commercialista di esperienza non abbia consapevolezza delle sue competenze. Sto dicendo che il fenomeno della Maledizione della Conoscenza colpisce chiunque abbia raggiunto un certo livello di esperienza nella vita e nel lavoro, riducendo l’enfasi sugli anni di studio, sull’esperienza, sul costo del tempo e del denaro serviti per l’aggiornamento continuo e – cosa più importante – su quei doni intuitivi come la creatività e la capacità di vedere che si sono sviluppati solo perché egli è immerso in un campo specifico da molti anni.

Le persone affette dalla Maledizione della Conoscenza vedono il mondo in modo diverso, e per questo non riescono a comunicare nel modo giusto con tutti gli altri, dando per scontato ciò che scontato non è, oppure riducendo il numero dei punti di osservazione da cui partire per sviluppare contenuti, informazioni, consulenze e così via.

Tamburellatori e ascoltatori

I fratelli Heath raccontano il caso di studio di una laureanda in psicologia (alla Stanford University) che propose come tesi l’analisi di un gioco nel quale lei assegnava ai partecipanti uno dei seguenti ruoli: tamburellatori oppure ascoltatori. Ai tamburellatori veniva consegnata una lista di 25 canzoni particolarmente famose, quali, per esempio, “Happy Birthday to You”. Veniva poi chiesto loro di eseguire il brano semplicemente tamburellandolo sul tavolo con le dita, senza emettere suoni o melodie vocali, ma solo colpendo il tavolo secondo il ritmo della canzone che passava nella loro testa.

Il compito degli ascoltatori era quello di indovinare il titolo della canzone in base al ritmo tamburellato. 

Ora, se non ti è chiaro il livello di complessità di questo gioco per gli ascoltatori, prova a sederti in cucina con il tuo partner, e comincia a tamburellare sul tavolo una qualsiasi canzone famosa ti passi per la testa. Non so, potrebbe essere il nostro inno nazionale. Be’, scoprirai che è davvero molto difficile per l’ascoltatore indovinare ciò che stai tamburellando con le dita sul tavolo. Tranne che non si tratti di We Will Rock You dei Queen, famoso proprio per il suo incalzante ritmo iniziale, è quasi impossibile per l’ascoltatore venire a capo di un’informazione che non possiede.

Ecco. È di questo che stiamo parlando. I tamburellatori sono in possesso di una conoscenza (il titolo della canzone) che rende loro impossibile immaginare quello che si prova a non possederla. Quando stanno colpendo il tavolo con le dita, benché dal loro punto di vista ci sia un ritmo inequivocabile che dovrebbe guidare verso la soluzione, non riescono a immaginare cosa significa per gli ascoltatori il fatto di sentire semplicemente dei singoli colpi invece di una canzone.

Questa è la Maledizione della Conoscenza. Una volta che sappiamo qualcosa, ci risulta molto difficile immaginare come ci sentivamo quando non la sapevamo.

Allo stesso modo, un esperto non riesce a condividere in modo semplice e comprensibile la sua conoscenza perché non è in grado di ricreare – per colpa della Maledizione – quello stato mentale in cui egli stesso si trovava prima di sapere e nel quale si trovano oggi i suoi ascoltatori.

Risposte e video lacuna

Tornando al nostro discorso sul gruppo Facebook, ora puoi ben comprendere come le domande rivolte agli utenti in attesa di approvazione possano aiutarci a superare i limiti indotti dalla Maledizione della Conoscenza  e ispirarci numerosi punti e angolature di attacco per offrire informazioni e condividere quello che sappiamo sull’argomento.

Nel mio caso, le domande cominciarono a ispirarmi. Oltretutto, per una questione di velocità e praticità, decisi di non prepararmi nulla, ma di affrontare ogni tema a viso aperto, facendo leva esclusivamente sulla mia esperienza decennale in questo settore e su ciò che il cuore e l’istinto in quel momento mi suggerivano di rispondere.

Mi accorsi subito che la scelta dei discorsi a braccio fu molto prolifica sul piano dei contenuti, nel senso che in mancanza di un copione definito la mia mente trattava l’argomento senza limiti di sorta, producendo ogni volta delle risposte abbondanti di 20, 30 minuti. A volte anche di un’ora o due.

Questa circostanza, rafforzata da un aneddoto che racconterò dopo, mi portò a considerare una seconda idea: quella cioè di scomporre il contenuto in due parti, o meglio: prendere una prima parte del video, che io chiamo video lacuna (e più avanti vedremo perché), e pubblicarla sulla mia pagina Facebook, per richiamare l’attenzione di quelli più interessati all’argomento, e caricare poi il video integrale con le sue risposte solo nel gruppo.

Presta attenzione, adesso, perché qui si compie quella prima trasformazione nel processo lineare in ambiente Facebook che è oggetto di questo capitolo.

Sulla tua pagina Facebook, in teoria, ci sono i like delle persone che in qualche misura ti seguono; seguono cioè quello che fai e quello che dici. 

Il “like” a una pagina non garantisce la continuità di ascolto. Un po’ per come lavora l’algoritmo di Facebook sulla newsfeed degli utenti, un po’ perché questi ultimi non sono sempre sintonizzati con tutti i contenuti che vengono pubblicati, sta di fatto che solo una piccola percentuale dei tuoi like segue le notizie sulla tua pagina.

Ciò detto, però, sappiamo che quelli che ti seguono lo fanno perché sono in linea con il tuo brand ma anche con l’argomento che viene trattato sulla tua pagina. Siamo quindi già un po’ più avanti del punto zero. Cioè, quelli a cui Facebook mostra i tuoi contenuti di pagina non sono completamente sconosciuti, così come tu non sei completamente sconosciuto per loro.

Tuttavia, lo stato di follower di una pagina non coincide ancora con quello di un lead che avremmo potuto generare con azioni di lead generation. C’è ancora molta distanza mentale tra lui e la nostra offerta. E se consideriamo che persino il lead (più vicino di un follower), in quanto tale, non combacia ancora perfettamente con il profilo giusto del nostro cliente tipo, se ne ricava che ogni tentativo di vendita compiuto sic et simpliciter su una pagina Facebook può lasciare la gran parte dei follower nell’indifferenza più totale.

C’è poi l’esigenza di sapere o di capire chi ha interesse per cosa. I follower sono tali per un’ampiezza di interessi generici vagamente distribuiti ora sull’empatia verso l’autore della pagina, ora sulla vicinanza a un contenuto specifico, ora su una semplice citazione, e così via. Siamo solo a un passo oltre il punto zero, e ancora molto distanti dal punto di conversione. E questo non ci permette di sfruttare al massimo la precisione quasi chirurgica insita negli strumenti di inbound marketing che abbiamo a disposizione.

Come si fa a capire chi ha interesse per cosa nel contesto di una pagina Facebook? E qui arriviamo all’idea del video diviso in due parti. 

Mentre sviluppavo risposte per i primi avventori del gruppo Phoenix Academy Preview, ho potuto osservare la struttura delle mie risposte. Come ho già detto, avevo deciso di mettermi tout court dinanzi alla video camera per affrontare a braccio ogni quesito che mi veniva posto. Non avevo dunque un copione scritto, e neanche la conoscenza preventiva di come avrei sostanzialmente impostato il mio ragionamento.

Però, mi accorsi che anche senza copione la struttura delle mie argomentazioni era più o meno sempre la stessa. Col senno di poi, analizzandola, ho capito che è fatta così:

1. Incipit con lettura della domanda e del suo autore. Questo permette alle persone di capire subito di cosa parlo nel video, ma anche di agganciare le aspettative a una storia concreta, quella di chi mi ha posto la domanda. 

2. Preparazione dell’ambiente giusto per la risposta. Nessuna risposta può soddisfare la domanda senza che la stessa emerga da un contesto dove tutte le premesse sono chiare a chi ascolta. Bisogna creare le giuste condizioni – talvolta anche nozionistiche – perché gli altri possano vedere il più chiaramente possibile ciò che ancora non vedono.

3. Proposizione della risposta e degli elementi a suo sostegno. Questo rappresenta il cuore dei miei video, il punto in cui ciascun utente vorrebbe già trovarsi sin da subito, salvo doverne accettare le premesse perché la risposta trovi una sua utile collocazione nel quadro complessivo delle informazioni in suo possesso.

4. Conclusioni. Normalmente, ripeto velocemente quello che ho già detto nel punto 2 e nel punto 3. Un piccolo tecnicismo didattico. Repetita iuvant. 

In queste quattro fasi che più o meno si ripetono in ogni girato per il gruppo c’è un punto nel quale le aspettative di chi ascolta aumentano significativamente. È il climax del discorso, se così possiamo chiamarlo. È quel momento nel quale finisce la premessa, l’antefatto, il preambolo, e comincia a svelarsi la risposta. Comincia cioè ad arrivare il cosiddetto nocciolo della questione. Ciò accade alla fine della fase 2 e poco prima di entrare nella terza.

Voglio precisare che non mi piace molto il verbo “svelare”. Lo trovo molto abusato nel nostro ambiente e spesso associato a operazioni così banali che ne hanno snaturato il suo significato forte e autentico. Qui però lo uso per far capire meglio la carica di attesa con cui normalmente le persone arrivano al climax di un discorso che le attiri, proprio perché il preambolo prepara emotivamente, fa chiarezza tra le informazioni possedute, ne aggiunge di nuove, più precise, incuriosisce, e tutto sembra essere pronto per accogliere la risposta, quindi, per svelarla. Salvo poi interrompere il tutto. 

Salvo poi interrompere il tutto…

Allora, diciamo subito che se arrivi al climax di un discorso e lo interrompi, nella mente delle persone attente si crea un’aspettativa tremenda, una via di mezzo tra una forte curiosità e l’esigenza di sapere come va a finire il resto della storia. 

George Loewenstein la chiamava lacuna conoscitiva (da qui il nome video lacuna), una mancata conoscenza, un vuoto che la mente delle persone deve assolutamente colmare quando viene loro somministrata ad hoc solo una parte propedeutica e stuzzicante dell’informazione, non quella completa.

Robert Cialdini parlava di tecnica del giallo, la stessa che usano i romanzieri per inchiodare il lettore alla pagina, che consiste nel lanciare una serie di fatti più o meno misteriosi, ritornarci sopra durante la scrittura, senza mai svelare l’arcano, ma con la promessa tacita che emerge dalle parole che di lì a breve si saprà come vanno a finire le cose. 

La tecnica della lacuna applicata ai video

Ho sempre studiato questo tipo di scrittura, capace di catturare l’attenzione ma soprattutto di mantenerla alta per tutto il tempo della narrazione, anche se non c’è molto materiale valido in giro. Ma non mi era mai capitato di provare lo stesso schema anche nei miei video messaggi.

Ho capito che poteva funzionare quando un giorno chiamai mia moglie per avere un suo feedback su un video ancora in fase di montaggio. La sua reazione spontanea all’improvvisa interruzione del video mi fece intravedere il potenziale della tecnica e mi incoraggiò a fare una prova anche sulla mia pagina Facebook. Ma perché ci fu l’interruzione? 

Durante l’ascolto in Final Cut Pro X, con alcuni video pesanti capita che i flussi grafici della traccia audio vengano caricati con un leggero ritardo. Il video si vede. E l’audio si sente. Nessun problema da questo punto di vista. Ma se lanci il play prima che la grafica sia completamente apparsa in schermata, la traccia audio risulta piatta, senza curve. Sarà un problema di memoria RAM, probabilmente. Ma io ho bisogno di vedere la curva dell’audio, anche perché talvolta devo fare dei tagli. Ed è importante che io possa scorgere i punti in cui c’è silenzio. Se metto in pausa, però, anche solo per un istante, la grafica si ricarica, e tutto torna regolarmente osservabile.

Per questo, ho l’abitudine oramai di fermare il video quando mi accorgo che la traccia audio appare graficamente piatta. Preferisco osservare le sue curve. Quindi, fermo, aspetto, e faccio ripartire.

Quel giorno con mia moglie, mentre stavamo ascoltando insieme un mio video, successe una cosa del genere: fermai per un istante. Ma mia moglie reagì prima ancora che io facessi ripartire il video, chiedendomi “Perché l’hai fermato? Fallo ripartire. Era interessante”.

Wow! Mi si aprì un mondo.

Ora, devo dire che mia moglie, poverina, mille volte si è dovuta sorbire i miei video per darmi un’opinione. E so che qualche volta i suoi “Ben fatto!” potrebbero essere stati più sbrigativi che utilmente critici. Quel giorno, però, non era sbrigativa. Era sinceramente interessata, attenta. Coinvolta. Curiosa. E il fatto di aver interrotto il video casualmente sul punto di maggiore climax, provocò in lei quella reazione tipica di chi subisce la lacuna conoscitiva. L’idea del video lacuna è nata anche da questo fatto.

Ritornando alla domanda che ci eravamo posti prima “Come si fa a capire chi ha interesse per cosa nel contesto di una pagina Facebook?”, l’analisi della struttura dei video mi ha permesso di sperimentare il video lacuna sulla mia pagina Facebook. In che modo? Interrompendo il video nel punto di maggiore climax con un messaggio conclusivo del tipo “Segui il video integrale nel gruppo Phoenix Academy Preview”. Qui trovi un esempio: clicca!

Non tutti sono interessati all’argomento del video lacuna. E non tutti quindi chiedono l’iscrizione al gruppo per poter seguire il video integrale. Ma quelli che lo fanno mostrano senza dubbio un interesse preciso per qualcosa di preciso. Un passo avanti verso il punto di conversione. Ancora meglio quando rispondono persino alle domande di attesa: un piccolo gesto con un grande potenziale di profilazione. 

Preparazione di un pubblico altamente ricettivo

I gruppi Facebook sono come dei porti di mare: gente che viene, gente che va. Gente distratta, superficiale, persino apatica. Ciascuno è già membro di altre svariate decine di gruppi Facebook. E probabilmente li segue tutti con la medesima scarsa attenzione. 

E poi ci sono i lurker che rappresentano il 90% di ogni community. Parliamo di persone che partecipano a un gruppo, leggono e seguono le attività degli altri, rimanendo però nell’ombra per tutto il tempo. Su 100, 90 persone sono fatte così: non interagiscono mai. E quindi non sai se stanno fruendo realmente delle tue informazioni, oppure no. Ecco perché la risposta alle domande di attesa è un segno importante.

Con il gruppo Phoenix Academy Preview decisi di approvare solo coloro che rispondevano alle domande. Fui molto selettivo. Oltretutto, passavo in rassegna quotidianamente le visualizzazioni e le interazioni sui mei post. E quando l’immobilismo di alcuni mi appariva fin troppo evidente, li cancellavo dal gruppo senza pensarci troppo.

Il mio scopo era quello di formare un pubblico altamente ricettivo e sensibile al mio messaggio. Dovevo preparare le condizioni giuste per la massima conversione. Non avrei potuto spingere tutti a lasciare commenti o a interagire in qualche modo con i miei contenuti. Potevo però cogliere i primi segnali e interpretarli esattamente per come apparivano.

Se vuoi fare un buon vino devi usare una buona uva. E più l’uva è selezionata e di prima scelta, più buono sarà il vino. Allo stesso modo, se vuoi un pubblico che risponde al profilo ideale del tuo cliente tipo per massimizzare le conversioni, devi selezionare, filtrare, scartare. Ma anche aggiungere nuovi setacci lungo il percorso per continuare a vagliare, secernere, distillare. 

Uno dei concetti più sfuggenti al popolo dei giovani marketer o di chiunque provi a vendere infoprodotti e servizi online è proprio quello di un funnel inteso non tanto come imbuto, quanto piuttosto come setaccio. 

È vero, funnel significa proprio imbuto. E non è dunque sbagliato tradurlo in questo modo. Ma l’imbuto rimanda all’idea di un’ampia apertura (porta di ingresso) con un sentiero che diventa via via sempre più stringente. 

Funnel = Ampia apertura percorso stringente

Cosa c’è di sbagliato in questa immagine? Niente, se pensiamo alle conversioni (vendite) come qualcosa che avanza alla fine del percorso stringente. Ma se il nostro obiettivo è quello di convertire in misura profittevole clienti alto spendenti, allora serve un’immagine nuova del percorso. Non più un’ampia apertura, come nell’imbuto, ma un setaccio che filtri e separi gli elementi di qualità da quelli dannosi.

Un funnel funzionale per prodotti e consulenze high ticket, prima di qualificare il pubblico, deve squalificare tutti coloro che non rientrano (neanche potenzialmente) nel profilo del Cliente tipo. Non servono grandi aperture, perché le grandi aperture portano dentro molta uva cattiva ed altri elementi inutili. Servono invece richiami di nicchia, ingressi selettivi, trappole di epurazione. Proprio perché sulla nostra offerta, se vogliamo che sia profittevole, deve approdare un pubblico altamente ricettivo.

Riguardo a me, decisi di interpretare i segnali esattamente per come apparivano. Non volevo fare finta di niente o sperare che in momenti diversi quelle persone avrebbero dato un senso alla loro presenza nel gruppo. 

Ero convinto, e lo sono ancora, anche per carattere, che il nostro sforzo non debba essere finalizzato a ficcarci nei guazzabugli umani. Un gruppo Facebook con migliaia di cadaveri è solo un cimitero, infruttifero e inutile. 

Ho imparato nel tempo che devi separare il grano dalla pula. E per farlo con successo, devi minare il campo con una serie di trappole di selezione che depurano il tuo pubblico. Ci vuole coraggio, perché la selezione riduce i numeri. Ma quello che rimane è il tuo miglior pubblico di lancio: persone emotivamente più vicine e predisposte all’acquisto del tuo prodotto.

Come avvicinarsi al punto di conversione

È ciò che ho fatto con Phoenix Academy Preview. Ed è stato incredibilmente efficace. Il primo video lacuna fu visto da un certo numero di persone, non tantissime, alcune delle quali chiesero l’iscrizione al gruppo. Tra queste, alcune risposero alle domande di attesa, altre no. Queste ultime non furono accolte. 

Nuove domande. Nuovi temi da affrontare. Nuovi video lacuna che producevo quasi ogni giorno. E ogni giorno sulla mia pagina Facebook alcune centinaia di persone guardavano il nuovo video lacuna che si interrompeva sempre sul punto di maggiore climax, invitando le persone a chiedere l’iscrizione al gruppo.

E le iscrizioni aumentavano. Gente che non mi conosceva, ora stava muovendo i suoi primi passi nella mia sfera. Dal punto zero si spostava in avanti, verso nuovi livelli di fiducia. Poteva guardare, leggere, ascoltare e interagire con me e con gli altri. Nelle mie risposte, poi, avevo cura di citare sempre il nome e il cognome di chi mi aveva posto la domanda, taggandolo persino nella pubblicazione del video. 

Il tag è una buona mossa per stanare i lurker. Li costringe a venire fuori, a ringraziarti, almeno, per aver dato loro una risposta articolata e puntuale. Non è detto che lo facciano. Ma i lurker sono anche creature che vanno incoraggiate e accompagnate all’azione: se riusciamo a far capire loro che una volta che hanno messo la testa fuori dalla tana non succede nulla di cui pentirsi, nessuno li attacca o li sbrana, probabilmente cominciano a interagire più spesso, producendo un buon risultato anche su questo tipo di versante.

Infatti, più interazione, più domande. Più domande, più risposte. Più risposte, più fiducia. Più fiducia, più chiarezza e più vicinanza al punto di conversione.

Le mie azioni in questa esperienza sono state più istintuali che programmate. L’unica cosa veramente programmata, decisa, è stata la selezione inflessibile dei membri. Per il resto, agivo quasi sempre in base all’ispirazione del momento. Però, questo ha prodotto dei risultati interessanti. Ed è giusto analizzare il tutto per capire se ci sono degli schemi utili e come replicarli. In effetti, dopo averlo scoperto, ho usato più volte questo schema di funnel. Ed ha sempre prodotto molti profitti in fase di lancio, dove per lancio intendo un webinar o una diretta all’interno del gruppo che ponga fine a una fase di educazione cominciata qualche settimana prima con i video lacuna che agganciano il pubblico e lo epurano nei modi di cui ci stiamo occupando.

Intanto, ogni giorno avevo nuovi ingressi. A volte dieci, a volte quindici, il mio gruppo si rimpolpava. E con i nuovi ingressi c’erano nuove domande. Le domande portavano alle risposte. E le risposte favorivano due tipi di contenuto:

1. per il gruppo (il video integrale)

2. per la pagina (il video lacuna)

Insomma, un eccitante circolo virtuoso che nel giro di un paio di settimane mi ha fatto raggiungere il numero di circa 400 richieste di iscrizione, di cui solo 200 però sono state approvate per via della selezione. 

200 membri non sono tanti. Ma la qualità del gruppo ha favorito un certo risultato la sera del 15 febbraio, quando in Phoenix Academy Preview ci fu la diretta di presentazione del nuovo programma Phoenix.

Ne parliamo nel prossimo capitolo.

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Imprenditore del web, scrittore e autore di corsi online dal 2007. Le sue idee e la sua esperienza hanno permesso di intercettare e comprendere un modo completamente nuovo di ingaggiare ed educare il pubblico e indurlo ad acquistare i tuoi prodotti o servizi.