Il cameriere robot: tra polemiche e distrazioni perdiamo di vista il quadro generale

Cameriere robot

La tecnologia AI avanza a ritmi davvero impressionanti. Questa velocità fulminea non ha precedenti; i tempi di implementazione e di adozione nel tessuto produttivo si contraggono a dismisura, eclissando completamente i periodi che un tempo furono necessari per integrare novità epocali come il web. È un accelerazione che non concede respiro, costringendo il mondo a muoversi a un ritmo sincopato per non restare indietro.

In questo vortice di cambiamenti, emerge con prepotenza un’asimmetria culturale, una frattura che inizia a solcare profondamente il terreno della nostra società. Questa divisione, però, non risparmia nessuno e si insinua, trasversale e insidiosa, attraverso tutte le generazioni. È sorprendente, se non addirittura allarmante, constatare che proprio le giovani leve, gli Zoomers e gli Alpha, sembrano navigare in acque sconosciute quando si tratta di sfruttare appieno strumenti rivoluzionari come Chat GPT o Midjourney. La loro attenzione sembra monopolizzata dall’effimero palcoscenico di Tik Tok, dalla continua e ossessiva ricerca di “apparire” e “omologarsi”. 

È sorprendente, se non addirittura allarmante, constatare che proprio le giovani leve, gli Zoomers e gli Alpha, sembrano navigare in acque sconosciute quando si tratta di sfruttare appieno strumenti rivoluzionari come Chat GPT o Midjourney.

I baby boomers sono in allerta

Questa tendenza contrasta con l’atteggiamento che si osserva in coloro che hanno vissuto l’alba dell’era digitale, la generazione X e, più sorprendentemente, i baby boomers. Forse, in questi ultimi, risiede ancora il bruciante rimpianto delle opportunità perdute all’epoca dell’affermazione del web, un’eco di quelle scelte tardive che ora si trasforma in una volontà di abbracciare il nuovo, di non lasciarsi sfuggire il treno del futuro un’altra volta. Ricordano, con una punta di amarezza, come centinaia di opportunità di crescita sfuggirono dalle loro mani al suono di un mantra miope e fallimentare: “trovatevi un lavoro vero”.

È il fantasma di ciò che avrebbero potuto costruire, di ogni occasione in cui, paralizzati dalla paura o dal dubbio, hanno scelto la via dell’inazione. Questo ricordo, forse, ha innescato in loro un meccanismo di allerta per il futuro, un monito interiore che sussurra “al prossimo cambiamento, non sarò la vittima del mio scetticismo, sarò l’artefice della mia trasformazione”.

E, in effetti, ciò che osserviamo oggi è una sorta di ribaltamento generazionale: sono più i cinquantenni che i giovani a cimentarsi con le sfide e le potenzialità offerte da strumenti come Chat GPT. Una realtà, questa, che invita a una profonda riflessione sulle dinamiche intergenerazionali attuali.

Metamorfosi culturale

In questo scenario, ogni giorno che nasce porta con sé una giustificazione ulteriore, un motivo in più per immergersi con determinazione nelle acque a volte tumultuose di queste tematiche. Non si tratta più solo di una riqualificazione professionale, ma di una vera e propria metamorfosi culturale, un rinnovamento dell’approccio mentale che va ben oltre l’acquisizione di nuove competenze. È un invito a riconsiderare la propria posizione nel mondo, a riconfigurare il proprio modo di pensare e di interagire con una realtà che cambia non solo il “come” ma anche il “cosa” del nostro agire quotidiano.

Camerieri, dirigenti, capi di governo… robot (?)

Si discute ormai apertamente di camerieri robot che servono ai tavoli, di dirigenti scolastici, prodotti della sofisticata intelligenza di Chat GPT. Si va persino oltre, immaginando un futuro con Robogov, un’entità robotica programmata per governare con logica e priva di corruzione, potenzialmente capace di sostituire figure politiche reali. E, come è naturale che sia, queste prospettive non sono esenti da controversie.

Si leva un coro di voci discordanti: ci sono quelli che, in preda alla frustrazione, attaccano le istituzioni politiche, quelli che, in un gesto di disperazione, accusano genericamente la gente, come se la responsabilità fosse un fardello da addossare sempre ad altri. Non mancano gli estremisti che invocano un boicottaggio totale delle aziende pioniere di queste rivoluzioni, magari illudendosi di provenire da un mondo incontaminato, nonostante la loro vita sia stata facilitata e migliorata, più volte, proprio da robot e intelligenze artificiali in svariati ambiti: dalla ristorazione, al comfort domestico, alla gestione finanziaria, fino all’assistenza sanitaria.

Questo dibattito non è nuovo, è un fuoco che arde da anni. E per un tempo altrettanto lungo, mi sono adoperato con ogni fibra del mio essere per scuotere dal torpore coloro che rifiutano di vedere, per aprire gli occhi a chi nega l’evidenza di una trasformazione che non solo è palpabile, ma che sta già ridisegnando i contorni dei nostri asset produttivi fondamentali e, di conseguenza, modellando le nuove strutture della nostra società. È un cambiamento che non riguarda solo l’economia o la tecnologia ma tocca le corde più profonde dell’esistenza umana, spingendoci a interrogarci su ciò che significa, oggi, essere parte di questa collettività in evoluzione.

La speciazione

Non molti anni fa la risposta più eloquente che ricevevo dagli illustri detrattori di questo inarrestabile progresso era che “ci sarà sempre bisogno di qualcuno che sistema la merce sugli scaffali”.

Se tale fosse la profondità di analisi con cui la maggior parte delle persone affronta l’onda travolgente della rivoluzione digitale, allora è comprensibile il senso di fatalismo che pervade molte discussioni sull’argomento.

E qui, si apre un dibattito ancor più profondo e complesso: la nostra resistenza al cambiamento è forse inscritta nel nostro DNA? La speciazione riguarda solo la genetica? Tuttavia, è lecito chiedersi se, in qualche recondito angolo del nostro patrimonio genetico, non esista un gene che ci renda avversi al cambiamento, che ci spinga a temere l’ignoto piuttosto che abbracciarlo. Ma, se così fosse, sarebbe un paradosso della natura, poiché l’evoluzione stessa è sinonimo di cambiamento.

Chi non sa, non sa di non sapere

La regola è sempre la stessa: immutabile e universale, che governa il comportamento umano di fronte all’ignoto: chi non sa, vive nell’oscurità della propria ignoranza, spesso inconsapevole della vastità di ciò che gli è sconosciuto. E chi naviga in queste acque torbide, dove l’ignoranza si fonde con l’arroganza, tende a ridicolizzare ciò che sfugge alla sua comprensione, a deridere il cambiamento come se fosse un nemico, a respingere con disprezzo la mano tesa di chi offre una via d’uscita o una nuova prospettiva. È la paura del nuovo, del diverso, che si maschera dietro il sarcasmo e l’offesa.

In molteplici occasioni, attraverso i post pubblicati su questo blog e le riflessioni condivise sul mio profilo Facebook, ho tentato di disegnare un percorso chiaro verso la comprensione. Ho sviscerato le ragioni urgenti e impellenti che dovrebbero spingerci tutti a una profonda e onesta rivisitazione del nostro ruolo all’interno della società in rapida evoluzione. Ho cercato di delineare gli scenari futuri, mostrando come l’AI stia già rimodellando l’economia mondiale, sottolineando quanto sia cruciale non solo essere consapevoli ma anche proattivi. Ho invitato i miei lettori a osare, a cambiare la prospettiva con cui guardano al domani, a prepararsi con determinazione per un mondo dove il cambiamento non è solo una possibilità ma un’ineluttabile realtà che bussa alle nostre porte. Perché il cambiamento, con la sua forza travolgente, non aspetta che siamo pronti: arriva, e bisogna accoglierlo armati di conoscenza, apertura e capacità di adattamento.

Ristrutturazione culturale

È fondamentale comprendere che ciò che ci attende non è un mero esercizio tecnico, non è paragonabile all’apprendimento di un nuovo software come Photoshop o all’acquisizione di una singola abilità circoscritta. Ciò che è richiesto è di gran lunga più radicale e pervasivo: una ristrutturazione culturale in piena regola. Dobbiamo immergerci in un processo di trasformazione che riconsideri le fondamenta stesse del nostro pensiero, che riformuli il concetto di prodotto e, parallelamente, rivoluzioni la percezione di noi stessi e del nostro posto nel tessuto sociale ed economico.

Dobbiamo immergerci in un processo di trasformazione che riconsideri le fondamenta stesse del nostro pensiero, che riformuli il concetto di prodotto e, parallelamente, rivoluzioni la percezione di noi stessi e del nostro posto nel tessuto sociale ed economico.

Una visione olistica

La nuova economia, scaturita dall’inarrestabile avanzata dell’Intelligenza Artificiale, non premia la superficialità né l’abilità di navigare tra i comandi di un’interfaccia. Essa apre orizzonti sconfinati a coloro che sono disposti a “pensare” e “ragionare” in sintonia con i suoi principi, che sono capaci di fluire con i suoi processi, di adattarsi e innovare in armonia con le sue continue evoluzioni.

Non si tratta di chi sa semplicemente dare istruzioni a una macchina o esprimere opinioni su ciò che è corretto o errato. Si tratta di chi è in grado di comprendere profondamente le nuove dinamiche, di chi può vedere oltre gli schemi predefiniti e abbracciare una visione olistica, integrando etica, progresso tecnologico e sviluppo umano in un unico, coerente percorso di crescita.

Nel percorso della vita, ci confrontiamo con diverse battaglie: alcune sono assolutamente necessarie, crociate personali che definiscono il nostro carattere e i nostri principi; altre, invece, sono querele da cui sarebbe saggio distanziarsi. Alcune di queste sono oltre le nostre capacità, sfide titaniche che ci sovrastano con la loro imponenza, mentre altre sono semplicemente prive di significato, conflitti vani che non farebbero altro che dissipare le nostre energie in un vortice di futilità.

E poi ci sono momenti, momenti di rara e critica convergenza, in cui le ragioni per evitare una battaglia si fondono, creando un quadro più grande che non possiamo ignorare. In queste circostanze, la forza che bolle in noi, quella voce interiore che ci spinge verso il conflitto, deve essere esaminata con introspezione e saggezza. Dobbiamo chiederci: cosa sta alimentando questa battaglia? È il desiderio di giustizia, la ricerca della verità, o forse è alimentata da qualcosa che giace nelle ombre della nostra comprensione, un’ignoranza di ciò che non sappiamo ancora?

È essenziale, in questi frangenti, fare un passo indietro e valutare la situazione con una nuova lente, considerando che la nostra percezione potrebbe essere offuscata da lacune nella nostra conoscenza o comprensione. Forse ciò che è necessario non è un’azione impulsiva, ma un momento di riflessione, un’opportunità per apprendere e comprendere prima di procedere. Perché è nell’illuminazione di ciò che non sappiamo che possiamo trovare la strada più saggia da percorrere.

Dobbiamo imparare a danzare con il cambiamento

Voglio essere onesto, questo non è il mondo che ho sognato o desiderato. Se potessi plasmare la realtà secondo il mio cuore, opterei per un ritorno all’essenzialità, alla purezza dell’economia familiare, simboleggiata dall’idilliaca immagine di una masseria in campagna. Un luogo dove la terra è generosa, dove ogni seme piantato con cura cresce sotto il sole, dove l’autosufficienza non è un’utopia ma una quotidiana, tangibile realtà costruita con le nostre mani e nutrita dalle nostre risorse.

Tuttavia, siamo di fronte a una verità ineludibile: la tecnologia è una marea che non può essere fermata. È un flusso incessante, una forza che, sebbene possa essere indirizzata, non può essere interrotta nella sua corsa. E, in tutta sincerità, non dovremmo nemmeno tentare di farlo. L’essenza stessa dell’essere umano è radicata nella crescita, nell’evoluzione, nel desiderio e nella determinazione di progredire. Siamo come un seme destinato a germogliare, a sfidare ogni ostacolo per raggiungere la luce del sole, o come le galassie che, in un eterno e maestoso ballo cosmico, continuano a espandersi nel tessuto infinito dell’universo.

Accettare questo non significa abdicare ai nostri valori o ai nostri ideali romantici di un mondo più semplice. Significa riconoscere che, nel grande schema dell’esistenza, ci muoviamo verso l’ignoto, spinti dalla stessa forza vitale che ci ha portati fin qui. E in questo viaggio, dobbiamo imparare a danzare con il cambiamento, piuttosto che opporci a esso, trovando il modo di infondere la nostra umanità, la nostra etica, nei meandri sempre più complessi della società tecnologica.

È fondamentale sottolineare che l’obbligo morale di ciascuno di noi è di guidare la tecnologia lungo un percorso che rispetti e valorizzi l’etica umana. La sfida non risiede nel resistere all’avanzata tecnologica, ma nel garantire che essa operi in sintonia con i principi fondamentali che definiscono la nostra umanità. C’è una differenza sostanziale tra lottare per una tecnologia che sia al servizio dell’uomo, che ne rispetti la dignità e i diritti, e opporsi ciecamente all’evoluzione tecnologica in quanto tale.

Vi invito, ancora una volta, a non fermarvi alle apparenze o ai pregiudizi. Immergetevi nella conoscenza, cercate di comprendere le potenzialità e le sfide che la tecnologia porta con sé. Usatela come strumento di crescita, di innovazione, di progresso. Non limitatevi a osservarla con sospetto o a criticarla da una posizione di distanza. Perché, se vi fermate un attimo a riflettere, vi renderete conto che l’orologio sta ticchettando e l’opportunità di salire a bordo di questo treno in rapido movimento potrebbe sfuggirvi. E, quando il treno partirà, non risparmierà nessuno, nemmeno coloro che si ritenevano al di sopra delle tempeste del cambiamento, gli “intoccabili” del nostro tempo.

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