E così si trovarono, immersi fino al collo in un mare di eventi nefasti e tumultuosi, le loro anime come navi in una tempesta, oscillando tra la colpa e la rabbia, l’odio e il desiderio di redenzione. “Ah,” pensò uno, una figura ombrosa con le mani sempre così strette, “come è facile lasciarsi scivolare nell’abisso dell’odio, piuttosto che estendere la mano per la grazia del perdono. Sì, odiamo perché le parole sono state dette, i presagi ignorati. E ora, eccoci qui, naufraghi in un oceano di conseguenze aberranti.”

Le parole fluttuavano nell’aria, invisibili eppure palpabili come la nebbia mattutina. “Tutto scritto, tutto detto,” mormorò un altro, i suoi occhi persi nel vuoto di ricordi troppo dolorosi per essere completamente affrontati. “Eppure, anche se le avvertenze erano lì, scolpite nella pietra del tempo, abbiamo scelto di danzare ciecamente sul bordo del precipizio, ubriachi di orgoglio e ignoranza.”

Un terzo, con il peso del mondo sulle spalle, si aggirava come un fantasma tra di loro, i suoi pensieri un groviglio inestricabile di rimorsi e desideri spezzati. “Perdono,” sospirò, quasi una preghiera sussurrata al vento, “ma è una strada che sembra troppo dura per i nostri piedi feriti. E così, ci crogioliamo nel fango dell’odio, più facile da sopportare perché non richiede di guardare in faccia la nostra fragilità.”

Le loro voci, i loro pensieri, si intrecciavano e si separavano come fili in un arazzo di disperazione umana, ciascuno isolato eppure connesso attraverso il filo sottile della colpa condivisa. E in quel momento, in quella stanza di anime tormentate, un desiderio comune si levò silenzioso – quello di poter tornare indietro, di ascoltare, di prestare attenzione alle parole che ora riecheggiavano come campane funebri nei loro cuori inquieti. Ma il tempo, crudele e inesorabile, non conosce ritorni.