Codice Vittoria

Una serie di racconti illustrati che uniscono apprendimento, creatività e insight professionali

da | Mar 12, 2024 | Codice Vittoria | 0 commenti

Vittoria Sterling #8: l’intervento sul sonno al Lago delle fate

Nell’attimo in cui varcai la soglia di quella stanza, il respiro mi si fece lieve, quasi a non voler disturbare la sacralità di quel luogo sospeso tra sogno e realtà. Il sole, in un ultimo estasiante inchino al giorno, tinse d’oro le acque placide di quel lago meraviglioso.

Compresi, allora, perché lo chiamavano il “Lago delle fate”. Solo creature di un mondo incantato potevano conferire una tale maestosità, una bellezza così eterea a tutto ciò che incrociava il mio sguardo. 

Ne ho viste tante di cose belle nella vita. Le mie orme hanno accarezzato le rive di laghi la cui superficie mossa dal vento sembrava un tappeto di scintille sotto la luce lunare. Ma questa visione, questo lago specchio di un’atmosfera fatata, era un capolavoro sconosciuto alla mia esperienza.

Il Lago delle fate parlava una lingua che solo l’anima può comprendere, una melodia che risuona nelle camere segrete del cuore, là dove si annidano i desideri più puri e le memorie dell’infinito.

Inviai subito un messaggio a Martina per farle sapere quanto fossi colpita dalla sua generosità e dal suo raffinato senso estetico nella scelta di questo rifugio. Fu lei a contattarmi qualche settimana prima e ad insistere perché partecipassi a un simposio di studi, organizzato in un angolo remoto del Piemonte, per discutere, ancora una volta, di intelligenza artificiale e mondo del lavoro.

Inizialmente, la scelta del luogo mi sembrò insolita per un convegno di tale levatura; tuttavia, mi venne poi svelato che era usanza dell’Ateneo convocare, annualmente, un ritiro intellettuale in luoghi di pace e di incommensurabile bellezza, come quello che stavo per godermi.

“Non pensarci nemmeno, Vicky, per te ho scelto solo il meglio”, fu il messaggio di risposta di Martina, a cui aggiunse un invito a prepararmi presto, perché, diceva, nel giro di un’ora al massimo sarebbe passata a prendermi per andare insieme al Centro Kongresshaus Macugnaga.

La serata prometteva un’intimità colta, un banchetto con relatori d’eccezione che avrebbero offerto un antipasto delle loro conoscenze, delineando l’ossatura del dibattito che si sarebbe dispiegato con maggior vigore l’indomani.

Il mio nome brillava tra quelli degli invitati di prestigio; Martina aveva tessuto le mie lodi davanti al consiglio dell’Ateneo, forse con qualche pennellata di zelo in più, descrivendomi come una professionista di caratura il cui discernimento sulle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale nel settore professionale era imprescindibile, data la lunga fila di aziende nel settore digitale che ambivano alla mia expertise.

La mia amicizia con Martina sbocciò inaspettatamente tra i corridoi di un anonimo studio di consulenza tributaria, nell’anno tumultuoso in cui una cartella esattoriale da 3 milioni di euro cadde sulle mie spalle come un fulmine a ciel sereno, poco prima che il mondo intero si ritirasse dietro le porte chiuse dalla pandemia. Lei, all’epoca, era una giovane praticante legale, le sue mani ancora immacolate dalla polvere dei codici e dalla grigia routine degli atti legali.

In quel mare di volti tesi e parvenze professionali, il suo sorriso fu come un raggio di sole capace di penetrare le più spesse nubi. Si distinse non solo per il calore umano, ma anche per un’intelligenza pronta e una vivacità di spirito che la rendevano un faro in quella sterile atmosfera. 

Col tempo, scoprendo la ricchezza della sua personalità e l’acume della sua mente, presi la decisione di aprirle una via di fuga dal circolo vizioso che molti chiamano carriera legale – una gabbia dorata che illude di progresso ma sovente gira a vuoto. Era una questione di meritocrazia e di reciproco rispetto.

Se sei gentile con me, io lo sono con te due volte di più.

La nostra amicizia si cementò definitivamente quando, con orgoglio e un pizzico di incredulità, Martina mi annunciò di aver guadagnato i suoi primi mille euro con un blog innovativo dedicato all’arte del riciclo e al sano risparmio. Per festeggiare il suo successo, mi convocò a una cena nella calda dimora familiare, dove i profumi delle pietanze si mescolavano alle risate e alle chiacchiere spensierate. Da quel momento, fummo più che amiche; diventammo complici in un viaggio condiviso di crescita e di scoperte, un’amicizia intessuta di stima reciproca e di un’inarrestabile voglia di scoprire quale avventura ci avrebbe atteso all’orizzonte.

Al Centro Kongresshaus Macugnaga

Non appena attraversai la soglia del Centro Kongresshaus Macugnaga, fui accolta dalla calda atmosfera di legno e di luci soffuse che disegnavano nell’aria qualcosa di antico e confortevole. Un mosaico di volti si stendeva davanti a me, testimoni viventi di quella comunione di pensieri e di scoperte che stava per avvolgerci. I travi a vista, nell’architettura del soffitto, si intrecciavano in un abbraccio di pino e di larice, suggerendo la maestà delle montagne custodi di questo luogo.

Ogni sedia era occupata da un ascoltatore attento, alcune teste si inclinavano in conversazioni animate, altre erano rivolte verso il palco, dove una donna si ergeva con presenza magnifica. C’era una familiarità in quel raduno, un senso di appartenenza che trascendeva la semplice condivisione di un interesse accademico; era come se ogni persona fosse una tessera indispensabile in questo affresco di conoscenza.

La risolutezza con cui avevo sempre affrontato il palcoscenico della mia professione vibrava in me con una nota diversa quella sera; l’emozione di essere tra pari, tra menti affilate come la mia, tra cuori appassionati dall’incessante ricerca del sapere. Sullo sfondo, le finestre si aprivano sulla notte che avvolgeva Macugnaga in un velo di mistero, rendendo il contrasto tra l’interno e l’esterno ancora più palpabile.

La scelta di questo luogo non era stata casuale, lo compresi nel momento in cui il silenzio accolse le prime parole dell’oratrice: era un’arena di idee, un santuario per coloro che, come me, trovavano nel dialogo e nella condivisione la vera essenza del progresso. E mentre mi apprestavo a unirmi a questo convivio dell’intelletto, sentii una rinnovata eccitazione in me: ero una veterana dei palchi e degli applausi, sì, ma non ero mai stata parte di qualcosa di simile. Non mi trovavo lì per impartire lezioni a imprenditori su come moltiplicare i loro guadagni attraverso il web. La mia missione, in quella serata piemontese, era illustrare a studenti e accademici come l’intelligenza artificiale non dovesse essere vista come un nemico per il loro futuro professionale, ma come un’onda poderosa da cavalcare con astuzia e ingegno, trasformando un potenziale rischio in una prospera opportunità.

I relatori si succedevano sul palco, donandoci perle di saggezza in brevi monologhi di una decina di minuti l’uno. Nel frattempo, tra un applauso e l’altro, i camerieri si muovevano con discrezione tra i tavoli, deponendo davanti a noi varietà di leccornie capaci di solleticare il palato. Mi rivolsi a Martina, curiosa di sapere quando sarebbe giunto il momento del mio intervento, poiché l’appetito iniziava a farsi vivo e quell’aroma di vino che danzava dal calice posto al centro del nostro tavolo chiamava la mia attenzione, invitandomi a cedere al desiderio di un assaggio.

“Avrai il gran finale”, rispose, con un sorriso cercava di sondare la ragione della mia ritrosia davanti ai piaceri della tavola. “Ma serviti pure”, aggiunse.

“Non si dovrebbe né mangiare né bere prima di salire sul palco, non lo sapevi?”, la informai con tono scherzoso.

“Davvero? E per quale motivo?”, una curiosità deliziata si dipinse sul suo volto.

“Esattamente, perché si sa, l’apparato digerente non ha riguardo per i momenti solenni; un sorso di troppo e potresti ritrovarti a fare i conti con una serie di ruttini imprevisti mentre cerchi di intessere parole di saggezza. Non sarebbe un bello spettacolo”, le spiegai con serietà fin troppo teatrale.

Scoppiò a ridere a crepapelle. “Sei impagabile”, disse, mentre la sua risata si unì al coro degli applausi, schietta e contagiosa.

“Che scema che sei”, replicai divertita, “Io ti insegno le cose, e tu ridi. Ma come devo fare con te!?”.

L’intervento sul sonno, non programmato

Arrivò il mio momento. Il moderatore dell’evento, introdotto come il responsabile di un dipartimento il cui nome mi era sfuggito – non c’era stato tempo per presentazioni formali, poiché il nostro arrivo coincise con l’inizio degli interventi – afferrò il microfono con autorità.

Articolò un’introduzione densa di enfasi sui sacrifici economici e organizzativi che avevano reso possibile la serata, sui nobili obiettivi dell’incontro; poi, con toni lusinghieri, annunciò la mia presenza. I dettagli del suo discorso mi sfuggirono, persi come erano in un mare di formalità, ma una frase mi rimase impressa, quando disse:

È una figura di successo nel mondo dell’online marketing, una consulente che top manager e aziende si contendono per la sua competenza.

Tuttavia, nel momento in cui mi incamminavo verso il palco, accolta dagli applausi cordiali del pubblico, il moderatore si lanciò in un inaspettato prolungamento del suo discorso. Forse colto da un impulso improvviso o mosso da un senso di drammatizzazione, iniziò a dissertare sui vasti e tumultuosi cambiamenti che stavano ridisegnando il panorama economico e professionale, pronosticando che almeno la metà dei professionisti attuali sarebbe stata spazzata via dal mercato del lavoro, un mercato che ora offre loro una vita dignitosa.

Con questo cupo presagio ancora sospeso nell’aria, mi porse il microfono, invitandomi a rispondere a una domanda tanto carica quanto complessa: “Dottoressa, ci illustri, per favore, quali sono gli elementi chiave che determinano questa netta divisione. Onestamente, chi sarà parte del 50% che prospererà e chi invece sarà escluso, relegato tra le fila dei dimenticati?”.

Mortacci tua, pensai silenziosamente, mentre diedi uno sguardo a Martina. Mi aveva passato una patata bollente. In un sol colpo, aveva stravolto il discorso che avevo preparato, costringendomi a incamminarmi su un terreno impervio e scivoloso che, molto probabilmente, avrebbe inghiottito i preziosi dieci minuti a mia disposizione, senza lasciarmi spazio per altro.

Con un respiro che celava la mia frustrazione, afferrai il microfono e, con una noncuranza studiata, mi diressi verso lo sgabello accanto al pianoforte. Lasciai che le mie dita scivolassero con leggerezza sui tasti bianchi e neri, estraendo dallo strumento alcune note meditative. Quindi, con la sala che si faceva silente, iniziai la mia risposta.

“Avete presente il sonno? Ciascuno di noi ha sonno quando ha bisogno di dormire. E ciascuno di noi ha bisogno di dormire secondo una certa frequenza che in criobiologia viene chiamata frequenza circadiana o ritmo circadiano. Ora, immaginate di sconvolgere questo ciclo. Che cosa succede, se il nostro ritmo naturale viene sconvolto?”. Lasciai che la domanda si depositasse nell’aria per un attimo, scrutando le espressioni in sala.

“Stanchezza, mancanza di concentrazione, demotivazione e indolenza. Tutto ciò che richiede attenzione viene rinviato, in attesa di quel recupero vitale che solo il sonno può offrirci. Vi risulta?”, chiesi. E anche questa volta aspettai qualche secondo, prima di riprendere a parlare.

“Immaginate ancora di avere due giorni di sonno arretrato. Due notti in bianco… bastano solo due notti in bianco affinché ciascuno di noi diventi l’ombra di sé stesso. Siete capaci di percepire questa condizione?”.

La domanda volò sopra di loro come un uccello notturno.

“Provate anche a visualizzare voi stessi. Come vi vedete? Qual è la vostra espressione sul viso? Avete voglia di scherzare, cantare, ballare? O non è più probabile che anche il più lieve tintinnio, il cigolio di una porta, vi infastidirebbe?”.

E così dicendo, pigiai nuovamente sui tasti del pianoforte.

“Presumo che nessuno qui, afflitto da tale esaurimento, avrebbe una gran voglia di fare alcunché, se non quella di dormire. Presumo anche che se vi chiedessi, per esempio, di sviluppare un piano editoriale con Chat GPT, mentre siete così assonnati, la vostra reazione possa essere quella di mandarmi al diavolo, e di riparlarne solo dopo che vi sarete rinfrancati con un bel riposino. È così?”. E attesi, lasciando che l’assurdità dell’immagine si consolidasse nei loro sorrisi.

“Mi restano solo pochi minuti,” ripresi, scrutando nei loro occhi la nascita di una domanda muta, un interrogativo silenzioso su come potessero intrecciarsi il sonno e la questione propostami. “Ma presto vi schiarirò ogni dubbio. Vi ho parlato di stanchezza e di sonno per dipingere un quadro, per trasportarvi emotivamente in quella condizione, perché, vedete, esiste un tipo di uomo o di donna che nonostante notti di veglia, nonostante la stanchezza che opprime la condizione dei mortali, trovano in sé la scintilla capace di infondere energia per affrontare e completare mansioni di rilievo”.

Con queste parole, catturai l’attenzione della sala, ogni sguardo fissato su di me, ogni mente sintonizzata sulla mia frequenza.

Quell’uomo, quella donna, quel tipo di essere umano che non conosce ostacoli è il guerriero della passione, colui che è così avvolto nel suo amore per il proprio operato che non avverte il peso delle ore senza sonno. Questa persona non si limita a fare ciò che è necessario; brama di immergersi nel suo lavoro, di portare a termine ciò che ha iniziato con una fervore talmente ardente che la fatica e lo spossamento si dissolvono come brina al sole. Non sto parlando di favole o miti, ma di realtà tangibile. Interrogatevi, osservate intorno a voi e scoprirete legioni di individui che, nonostante le sfide, l’esaurimento, il bisogno di riposo, sono elettrizzati all’idea di gettarsi nelle braccia della loro passione lavorativa.

E qui, miei cari, troverete la chiave della mia risposta. Chi sarà parte del 50% che prospererà e chi invece sarà escluso? Vi dico con ogni fibra della mia convinzione che coloro che tremano di passione, che vincono il torpore con l’adrenalina del fervore, saranno i pionieri di quel glorioso 50%. Gli altri, ahimè, rimarranno a guardare”.

Feci un sorriso quasi per chiedere perdono di un intervento che forse non fu leggero come quello che avevo preparato. 

“Desideravo semplicemente esprimervi la mia gratitudine per avermi accolto qui e fornirvi un assaggio di ciò che avrei condiviso domani. Ma mi è stato chiesto di essere onesta…”

Lasciai la frase incompleta per qualche istante. Poi aggiunsi: “Grazie a ciascuno di voi. Ci ritroveremo domani, e sarà mia cura mostrarvi come la passione, nel suo ardore, non solo sopravviva ma fiorisca, imperterrita di fronte all’avanzata dell’intelligenza artificiale”.

Martina fu la prima ad alzarsi per applaudirmi con entusiasmo. Insieme a lei, l’intera sala si sollevò in un’unisono tributo di apprezzamento, avvolgendomi in un caloroso e prolungato applauso.

Mi avvicinai a lei, e le sussurrai: riportami dalle fate, per favore.

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Carlo D’Angiò

Autore, publisher e speaker di rilievo. Consulente e coach specializzato in blogging business e online marketing. Podcaster appassionato e pioniere nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale applicata al testo e alla grafica.

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