Codice Vittoria

Una serie di racconti illustrati che uniscono apprendimento, creatività e insight professionali

da | Dic 11, 2023 | Codice Vittoria | 3 commenti

Vittoria Sterling #4: la filosofia di Vittoria sul posizionamento

“Come faccio a portare traffico sul mio blog, senza spendere una barca di soldi nelle campagne ppc?”. La voce del seminarista, impregnata di una speranza quasi infantile, risuonava nella sala conferenze. Eravamo arrivati a quel punto, quella fase della conferenza in cui si aprono le porte alle domande, alle curiosità, ai dubbi. E quella domanda, quella che gravita intorno al traffico sui blog, sui siti web, sulle pagine di vendita, era come un ritornello familiare, una melodia che si ripeteva anno dopo anno; una melodia che aveva iniziato a suonare più insistentemente da quando anche Facebook ADS, proprio come Google AdWords, era diventato un territorio riservato ai ricchi.

Il moderatore, con uno sguardo penetrante, si rivolse a me. Sentivo gli occhi dei partecipanti fissi su di me, occhi carichi di attesa, di speranza, di quell’avidità di conoscenza che spesso si confonde con la disperazione. Persino i tecnici dell’audio, dietro le loro console, avevano alzato lo sguardo verso di me. Ma il loro, forse, era un interesse differente, non legato al desiderio di conoscenza sul traffico web, ma forse a qualcosa di più umano, più viscerale.

Mi trovavo lì, al centro di tutte quelle attenzioni, una figura solitaria sotto il cono di luce del palco. Sapevo che le loro aspettative erano alte, che cercavano in me una soluzione, una via d’uscita da quel labirinto di spese pubblicitarie che aveva inghiottito tanti sogni e tante speranze. Sapevo che cercavano una risposta, ma sapevo anche che la verità era più complicata, più sfaccettata di una semplice risposta.

Sollevai delicatamente lo sguardo dal mio block notes, sul quale avevo disegnato, con un’attenzione apparentemente assente, una miriade di scarabocchi geometrici e floreali, intrighi di linee e curve che si perdevano nella carta. Con un movimento calcolato, lanciavo uno sguardo al moderatore, poi ai tecnici, danzando con i loro pensieri, giocando con la loro immaginazione. Ah, sì, a volte sono un po’ stronza, ma è un gioco sottile, un gioco di potere e di controllo.

Mi alzai, avanzando verso il pubblico. Ogni passo, ogni movimento era misurato, calibrato. I miei tacchi sulle tavole di legno del palco riecheggiavano nel silenzio della sala, un suono sordo e profondo, amplificato dai microfoni, che sembrava strappare una scena da un thriller, creando un’atmosfera carica di tensione, di attesa.

Con le dita, diedi un paio di colpi delicati al mio microfono, un gesto quasi affettuoso per accertarmi che fosse attivo, che la mia voce potesse viaggiare attraverso quella selva di cavi e tecnologia per raggiungere ogni angolo della stanza.

“Perché? Perché le persone dovrebbero visitare il vostro blog?”, iniziai, la mia voce era un filo di seta che si dispiegava nella sala. Conoscevo la risposta, l’avevo data tante volte, ma ogni volta cercavo le parole giuste, quelle parole che potessero colpire, che potessero risuonare nelle menti e nei cuori di chi mi ascoltava. Cercavo di essere sincera, ma allo stesso tempo diplomatica. Non era tanto una questione di preoccupazione per la sensibilità altrui, quanto una consapevolezza del mio ruolo, del mio potere, del mio impatto.

Venivo pagata profumatamente per essere lì, per parlare, per condividere la mia esperienza, la mia visione. E poi c’era il piacere di viaggiare, di scoprire l’Italia a spese di coloro che mi invitavano. Così, facevo uno sforzo, un piccolo sforzo per non apparire troppo odiosa, per non rischiare di essere esclusa da questi palchi che mi offrivano tanto. E così, con un sorriso che era una maschera e una verità, iniziai a tessere le mie parole, a costruire la mia risposta, un ponte tra me e il mio pubblico, tra il mio mondo e il loro.

Alla mia domanda sul “Perché?” fece eco un silenzio ancora più profondo di quello precedente, un silenzio che si distendeva come un velo su tutta la sala, inglobando ogni respiro, ogni movimento. Avrei voluto scuotere quel silenzio con parole taglienti, con una verità cruda e spietata. Volevo dir loro:

Non sapete scrivere, vi manca il coraggio di affrontare un argomento con audacia, senza lasciarvi schiacciare dal peso del politicamente corretto. Non riuscite a penetrare l’essenza di ciò di cui parlate, perché non lo conoscete davvero, non lo avete vissuto, lo avete solo copiato e incollato da altri. E questa vostra mancanza vi rende noiosi, incapaci di catturare l’attenzione, di far diventare virali le vostre idee.

Ma mi ricordavo di dover andare piano, di dover trovare quelle parole giuste, quei fili delicati che potessero tessere la stessa verità senza ferire, senza offendere. Dovevo essere la maestra, non l’esecutrice.

Così, con una voce che cercava di essere morbida ma ferma, iniziai: “Se non avete un blog storico ben piazzato sui motori di ricerca, c’è un solo modo per attirare l’attenzione dei lettori, ed è quello di usare i social media per diffondere i vostri contenuti. È da qui che bisogna partire”. Le mie parole erano come sassi lanciati in uno stagno, creando cerchi che si allargavano, toccando ogni mente, ogni cuore in quella sala.

Cominciai a camminare sul palco, sentendo il legno sotto i miei tacchi, consapevole di ogni passo, di ogni gesto. Notai alcuni in platea che prendevano appunti, la loro penna danzava sulla carta cercando di catturare ogni parola, ogni frammento di saggezza che potevo offrire.

Feci una pausa, il mio sguardo si posò su un ragazzo in prima fila. Un ragazzo che, sorpreso dal mio silenzio, alzò lo sguardo per cercare la mia approvazione. “Fatto?”, gli chiesi, con un sorriso che voleva essere complice, una parentesi di leggerezza in quel mare di serietà. Una risata generale si diffuse nella sala, un’ondata di calore umano che per un attimo alleggerì l’atmosfera, mentre il ragazzo, imbarazzato ma sorridente, rispose di sì.

“Dovreste cominciare a considerare la possibilità che il vostro profilo Facebook, per esempio, non sia più o semplicemente una bacheca per foto di compleanni o piatti da chef improbabili”, proseguivo, “ma un luogo in cui le persone che vi seguono possono avere una prima, e fondamentale, buona impressione sulla vostra persona e sul vostro lavoro”.

“Il profilo o la pagina Facebook?”, echeggiò una voce dalla destra, in fondo alla sala, un richiamo che mi riportò al presente, a quella platea di volti attenti e curiosi.

“Facebook non mostra i contenuti di una pagina, a meno che non siano promossi con una campagna. Quindi, sto parlando del profilo. E sto parlando di un punto di partenza. Il che non vuol dire che tutte le vostre strategie dovranno nascere e morire sul profilo personale. Ma è dal profilo che bisogna partire quando non avete un blog storico posizionato sui motori di ricerca, e non avete un budget sufficiente per fare campagne ppc in modo consapevole”. 

Feci un’altra pausa. Il mio sguardo si posò di nuovo sul ragazzo in prima fila. I suoi occhi brillavano di quella luce che si accende quando si è al cospetto di una nuova scoperta, una nuova verità. Lui sorrise, un sorriso che era un ponte tra noi, un segno di comprensione, di condivisione. Ma io no. Io rimanevo l’oratrice, la guida, quella che deteneva il sapere e che lo dispensava con saggezza e discernimento.

“È una questione di posizionamento. Sapete cos’è il posizionamento?”, chiesi, lasciando che la mia voce si spandesse per la sala. Guardavo i loro volti, cercavo nei loro occhi un segno, una scintilla di comprensione. Potevo quasi sentire il palpito di tensione che si diffondeva tra loro, il sospetto che avrei potuto chiedere a uno di loro di rispondere. Amavo creare quella tensione, era come tessere una tela invisibile che mi legava a loro, che li rendeva partecipi, attivi, anche se in realtà stavano solo seduti ad ascoltare.

Ma, in fondo, non volevo perdere tempo in quel gioco. Volevo concludere quel seminario, lasciare quella sala e ritornare a casa, al mio rifugio, al mio mondo.

“Quale immagine hanno di voi le persone quando sentono il vostro nome? A cosa pensano? In quale fascia culturale vi collocano? Che tipo di lavoro associano al vostro nome? Come vi percepiscono?”, continuai, permettendo a ogni parola di sedimentarsi nei loro pensieri, di farli riflettere, di spingerli a guardare dentro di sé.

Dopo una pausa, quasi teatrale, aggiunsi: “È questo il posizionamento! Una realtà ineludibile alla quale tutti noi siamo soggetti. Riflettete: il posizionamento è in effetti simile alla comunicazione; un fluire continuo, un’onda che non si arresta. È impossibile non comunicare, poiché anche nel silenzio, nel non dire, nel non agire, risiede un messaggio, un’eco che risuona nelle menti degli altri. Allo stesso modo, è inutile tentare di sottrarsi al gioco del posizionamento. Anche quando crediamo di starne fuori, di non influenzare, ci posizioniamo comunque, in modo indelebile, nella coscienza altrui. Questa è la chiave, il punto di partenza: come vi vedono, come vi percepiscono quelle persone che vi circondano, coloro che interagiscono con voi sul vostro profilo Facebook. È da questa percezione, da questa immagine che voi proiettate, che bisogna prendere le mosse”.

Sentivo le parole fluire da me come onde, getti di consapevolezza che si infrangevano sulla riva della loro comprensione. Ogni frase era un invito a esplorare, a scavare più a fondo, a comprendere che il posizionamento non era solo una strategia di marketing, ma un elemento fondamentale del nostro essere nel mondo, della nostra esistenza come individui, come marchi, come storie.

In quel momento, in quel palco, ero più che una relatrice, ero una guida, una maestra, una sibilla che svelava i segreti nascosti dietro le apparenze, dietro le facciate che costruiamo intorno a noi stessi. E sapevo che quelle parole, quei concetti, avrebbero potuto cambiare il modo in cui quei seminaristi avrebbero visto se stessi e il mondo.

Decisi di scendere i tre gradini del palco, desiderosa di infrangere quella barriera invisibile tra me e la platea. Lanciai uno sguardo interrogativo ai tecnici, chiedendomi se potessi avventurarmi oltre la portata sicura del microfono. Con un cenno del capo mi confermarono che potevo proseguire.

Mi avvicinai a uno degli spettatori, estendendo il microfono come fosse un ramo d’olivo, un ponte tra me e loro. “Come ti chiami?”, domandai.

“Giorgio”, rispose, con una voce che tremava leggermente, come una foglia al vento.

“Bene, Giorgio, posso farti una domanda? Quanti amici hai su Facebook?”.

“Ehm, penso circa 300”, rispose, la sua voce un po’ più sicura, ma ancora carica di incertezza.

“Interessante. E ora, dimmi, Giorgio, che lavoro fai?”.

“Oggi… gestisco un piccolo e-commerce di integratori vitaminici”.

La risposta di Giorgio risuonò nella mia mente, “Oggi…”, aveva detto, come se il suo ieri fosse stato un altro mondo, un’altra vita. Non mi sorprese. In molti nel turbolento mare del web marketing hanno un curriculum che è un caleidoscopio di attività, un mosaico di ruoli mai veramente abbracciati o compresi a fondo. C’erano tracce di un cammino incerto, un viaggio senza una meta chiara. Molti di loro, come Giorgio, avevano attraversato un labirinto di professioni: ieri operaio, oggi trader online, domani self-publisher, e poi ancora dropshipper, blogger, marketer. Un carosello di identità che ruotava con velocità vertiginosa.

Questa volatilità delle loro occupazioni mi suggeriva un percorso di riflessione interessante. Forse era proprio questa natura effimera delle loro carriere a renderli riluttanti a condividere dettagli professionali sui loro profili personali. C’era il timore, forse, di apparire ridicoli o inconsistenti. Ma in quel momento, decisi di mettere da parte questo pensiero. Non era né il luogo né il tempo per esplorare un tema così ampio e complesso. C’erano troppi strati da scrostare, troppe verità da svelare in un tempo così ristretto.

E poi, c’era il desiderio di concludere, di lasciare quella sala, di tornare alla mia vita, al mio mondo, lontano da quella scena. Quindi, respirai profondamente, ricacciando indietro quei pensieri, quei giudizi, e mi focalizzai sul presente, sul dialogo con Giorgio, sul messaggio che volevo lasciare a quella platea.

Vittoria che pone domande a Giorgio

“Capisco. E mi sai dire quante di quelle 300 persone che ti seguono su Facebook sanno di cosa ti occupi realmente?”.

“Poche… Non tutte, ma alcune sanno del mio lavoro”, rispose, la sua voce ora un filo più timida.

“E perché le altre non lo sanno?”, incalzai, cercando di dissolvere quella evidente cortina di reticenza.

Esitò, sembrava lottare con le parole, poi finalmente disse: “Perché quello è il mio profilo personale! Lo uso per tenere i contatti con amici e parenti. Lì non faccio pubblicità al mio lavoro”.

“Grazie, Giorgio,” gli dissi, posando una mano sulla sua spalla in un gesto che voleva essere di comprensione, ma anche di sfida. 

Iniziai a camminare lungo il corridoio centrale che divideva la platea in due ali, sentendo gli occhi di tutti fissi su di me, una sensazione che era al tempo stesso un peso e un privilegio. Ogni passo che facevo era un’opportunità per loro di vedere, di capire, di apprendere una verità più profonda sul potere del posizionamento e della comunicazione nel mondo digitale.

“È proprio questo il punto, ragazzi”, la mia voce si levò chiara e decisa. “Siamo portati a credere, e non so perché, che mostrare le nostre competenze sia pari a fare pubblicità al nostro lavoro. E questo pensiero ci disturba, perché ci rifiutiamo di trasformarci in spammer nei confronti dei nostri amici. Eppure”, continuai, “pensate a figure come Elon Musk, Tony Robbins, o persino a Burioni…”. Un mormorio di risate si diffuse per la sala, un sussurro di complicità che aleggiava tra noi. 

Vittoria Sterling in platea

“Conosciamo bene cosa fanno queste persone, quale ruolo ricoprano nella società. Il loro profilo personale si fonde con quello pubblico in un tutt’uno inestricabile. Non esiste una separazione tra l’io pubblico e l’io privato”.

La sala era avvolta in un’attenzione palpabile, ogni parola che pronunciavo si posava su di loro come foglie autunnali su un terreno fertile.

“Se vi trovate nella necessità di separare, di nascondere il vostro lavoro online, allora forse non dovreste lavorare online. Il posizionamento di un blogger, di un creatore di contenuti, si intreccia inevitabilmente con la sua vita personale, con un insieme di regole e valori etici che diventano parte della narrazione. I vostri lettori, i vostri seguaci, si identificano o si dissociano da voi, ma in entrambi i casi, si rapportano a voi”.

Feci una pausa, lasciando che le mie parole affondassero, scavassero nel loro animo. “Il rapporto si basa sulla conoscenza del vostro pensiero, della vostra filosofia, della vostra visione del mondo. E su questa base nascono i sostenitori”.

Mi fermai, guardando in giro per la sala, ogni volto, ogni sguardo. “Se avete soldi da investire, allora sì, puntate sulle campagne pubblicitarie, costruite una mailing list. Se avete un blog ben posizionato, godetevi i frutti del vostro lavoro, continuando a scrivere e a ingaggiare il pubblico. Ma se non avete risorse finanziarie, se non avete un posizionamento storico, allora è tempo di mettere da parte il politicamente corretto e iniziare a scrivere ciò che pensate realmente”.

La mia voce si alzò, vibrante di passione e di convinzione. “Nel momento in cui iniziate a produrre contenuti che affrontano un tema da una prospettiva autentica, critica, e innovativa, assisterete a una sorta di magia. La curiosità si trasforma in interesse, e l’interesse in desiderio di seguirvi, di conoscervi, di stabilire una connessione letteraria con i vostri contenuti. Questo è il seme del traffico; questo è il vostro punto di partenza”.

Risalii i gradini del palco con un senso di compiutezza, sentendo la sala ancora vibrante delle parole che avevo appena dispensato. Mi voltai verso la platea, un mare di volti che mi guardavano con un misto di ammirazione e riflessione. 

“Ricordatevi”, iniziai, la mia voce si elevava come un’ancora che li riportava al presente, “il segreto per generare traffico sta nel catturare l’attenzione del pubblico. E per catturare questa attenzione, avete bisogno di contenuti vivaci, critici, utili, certo, ma soprattutto mai noiosi”. Le mie parole sembravano tessere un incantesimo su di loro, un richiamo all’azione, un invito a osare, a sfidare le convenzioni.

“Imparate a non essere noiosi”, continuai, “imparate a suonare le corde della curiosità dei vostri lettori, a risvegliare la loro sete di sapere, di scoprire, di esplorare. Vi accorgerete che ogni argomento, anche il più banale, può essere trasformato in un racconto avvincente, in una storia che cattura e trattiene l’attenzione del vostro pubblico”.

Camminavo sul palco, ogni passo un battito nel ritmo delle mie parole. “Cominciate dal vostro profilo personale. E se avrete il coraggio di dire ciò che altri non osano nemmeno pensare, vi accorgerete che i vostri 300 amici si moltiplicheranno rapidamente, diventando prima mille, poi tre mila, e così via”.

Una pausa. Guardai l’assemblea, lasciando che le mie parole si sedimentassero nei loro pensieri, nei loro sogni, nelle loro aspirazioni. “E quando raggiungerete il limite massimo di amici consentiti su Facebook, vi troverete già in un viaggio di successo, già in procinto di monetizzare il vostro blog, di raccogliere i frutti di un lavoro fatto con passione, con dedizione, con coraggio”.

Poi, decisi di concludere: “Grazie a tutti”. E a quelle parole scattò un applauso fragoroso. Feci un inchino, appena accennato, lasciando che l’applauso riempisse la sala per alcuni secondi.

Vittoria viene applaudita

Alzai una mano per richiamare il silenzio, dissi scherzosamente: “Grazie, è troppo. È troppo… è troppo poco, continuate”. La mia battuta scatenò un’ondata di risate, un’esplosione di gioia che echeggiò nella sala, portata dalle voci di 500 persone che ridevano insieme. 

Piano piano, nella sala calò un silenzio carico di possibili inizi, di nuovi orizzonti da esplorare. E in quel momento, in quel silenzio denso di promesse, mi sentii più che una consulente, più che una relatrice. Mi sentii una catalizzatrice di cambiamento, una tessitrice di destini, una narratrice di verità in un mondo assetato di autenticità. 

E con quei pensieri, lasciai il palco, lasciai quella sala, consapevole di aver acceso una scintilla in ogni anima presente.

Ero Vittoria Sterling, e quella era la mia arte, la mia magia, il mio dono al mondo.

3 Commenti

  1. Simona Lupi

    Questo pomeriggio Vittoria Sterling mi ha regalato una grandissima lezione di vita, e fornito alcuni ispiranti punti di riflessione. Perché sono così inerte? Perché non ho il coraggio di scrivere su Facebook quello che faccio, e quello che sto tentando di imparare, on line e off line? Conosco davvero ciò di cui vorrei parlare, o farei solo dei copia-incolla di contenuti altrui? Non sarà il caso di abbandonare il desiderio di guadagnarmi da vivere esclusivamente con una attività on line priva di fatica? Vittoria, mi hai risvegliato dal mio torpore, ma mi hai seriamente messa in crisi! 🙂

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  2. Morena Botteghi

    Io quando il mio profilo è diventato da digital creator ho esultato, perché i miei amici che erano circa 1500, sono diventati attorno ai 2500. Che bello, ho pensato! E allora ho iniziato a pubblicare lì le cose che faccio o come la penso. Ma le cose che faccio se le pubblico come “articolo”, vale a dire con il titolo linkabile e l’immagine di ciò che scrivo, Fb non lo caga proprio! Se invece pubblico una immagine e il link interno al mio post, allora “qualche giro” lo fa. Giustamente tu mi dicevi che dovevo mettere il mio articolo linkabile perché é più professionale, ma così, ripeto nessuno lo vede! Le pagine Fb che avevo prima di questa trasformazione del mio profilo? Prima le utilizzavo e anche se non facevo una campagna a volte raggiungevo le 1000 visualizzazioni. Ora, quando pubblico senza campagna, 8-9 persone.
    Quindi? Ho un profilo da digital creator ma che se pubblico come un digital creator nessuno vede; ho le pagine Fb dove posso pubblicare i contenuti di ciò che faccio , ma se non ho una campagna non arrivo da nessuna parte. Questa è la situazione attuale. Ne uscirò…:-)

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  3. Rosanna

    Non ho mai capito perchè fare una distinzione tra “profilo” e “pagina” …
    I profili sono più seguiti delle pagine, e anche se queste ultime sono più professionali, perchè siano visibili sono necessarie campagne promozionali costose.

    Secondo me si dovrebbe mostrare più coraggio a parlare della nostra professione sul profilo lasciando che il lettore ci conosca per chi e come realmente siamo.

    Certo… rischiamo che FB non sia d’accordo e forse ci cancelli l’account, perchè come al solito qualcun’altro deve decidere come ci dobbiamo presentare.

    Alla fine i social si sono rivelati un arma a doppio taglio!
    Da una parte danno visibilità, ma dall’altra, visto che la massa ci si fionda, se non sei presente sei invisibile… la gente si è disabituata a rivolgersi ai motori di ricerca, per la massa perfino la ricerca si svolge sui social.

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Carlo D’Angiò

Autore, publisher e speaker di rilievo. Consulente e coach specializzato in blogging business e online marketing. Podcaster appassionato e pioniere nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale applicata al testo e alla grafica.

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